Mimmo Nunnari “La mia vita sul mare”

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Il Mediterraneo raccontato da Mimmo Nunnari

“…Sono nato in una casetta color rosso melograno…”

Di Pino Nano

Mimmo Nunnari è stato uno dei grandi protagonisti della storia della RAI in Calabria, di cui è stato Capo della Redazione Giornalistica, prima, e poi influente Vicedirettore della Testata Giornalistica Regionale a Roma. Oggi lui più che il giornalista, fa lo scrittore, per giunta di successo. Si occupa di Mezzogiorno e soprattutto sa tutto del Mediterraneo e dei popoli che lo vivono, vanta un rapporto esclusivo con il mondo della Chiesa di Papa Francesco – l’ultimo suo libro si apre con la prefazione del cardinale di Bologna Matteo Maria Zuppi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana-, racconta la politica in maniera disincatata e distaccata, e come scrittore raccatta premi e riconoscimenti in ogni parte d’Italia per i suoi saggi e i suoi libri che sono sempre così pieni di amore e di passione civile per gli ultimi del mondo.

Di lui ne parlo sempre con ammirazione e con una malcelata forma di rispetto perché per anni Mimmo è stato uno dei miei superiori diretti, e soprattutto perché, quando nel maggio del 1982, sono passati quarantadue anni esatti da allora, io misi piede per la prima volta in Rai a Cosenza Mimmo Nunnari era già un giornalista importante e in redazione, al numero 25 di Via Montesanto, una vera autorità.

Insomma, oggi proverò a raccontarvi un pezzo anche della mia vita. Un pezzo importante.

Lo conosco e gli voglio bene da 50 anni esatti. Io avevo ancora vent’anni, e lui era già un personaggio della politica e del giornalismo calabrese. Lo ammiravo e lo cercavo. Lui era appena entrato in RAI, ed era l’unica persona con cui riuscivo a parlare del mio futuro e dei miei sogni.I suoi consigli alla fine mi sono stati utilissimi, se non altro a sfatare un falso mito, che voleva i giornalisti “figli di giornalisti”. Mio padre non lo era, ma alla fine io sono riuscito a realizzare il mio sogno lo stesso, e Mimmo Nunnari fu la prima persona che il giorno prima della mia assunzione in RAI, era il 24 maggio del 1982, mi chiamò per dirmi che “era fatta”. Indimenticabile quel giorno.

Poi abbiamo condiviso insieme almeno 30 anni di lavoro in comune.

Un giorno, vi ho già detto, lui diventa anche il mio capo, e a distanza di tanto tempo da allora vorrei dirgli grazie per il garbo e lo stile che ha sempre riservato al mio lavoro.

Ho un ricordo indelebile della mia vita professionale legato a lui. Un mattina da Roma mi chiamano per propormi una diretta per RAI DUE dal Santo Sepolcro di Gerusalemme. Io allora lavoravo in Calabria, e per andare in Israele serviva l’OK della mia redazione, che già allora viveva grandi vuoti di organico.

Mi dissi subito “Non ti faranno mai andare, qui hanno bisogno di gente che stia sul pezzo, figurati se ti daranno mai l’autorizzazione ad una trasferta all’estero di due settimane”. Non ebbi neanche il coraggio quel giorno di entrare nella stanza di Mimmo, che era il Caporedattore della Sede RAI della Calabria, e osare chiedergli il permesso. Ma lui era già stato informato della cosa dalla direzione di RAI Due, e anche in quella occasione non ebbe un solo attimo di esitazione. Disse di sì, e basta. Non chiese nessuna sostituzione per me che partivo. Poi mi chiamò nella sua stanza e mi disse soltanto “La Pasqua a Gerusalemme non è una “diretta” facile, preparati bene e fatti onore”.

Ma in quella occasione Mimmo non disse “sì” solo a me. Disse sì anche alla trasferta di una troupe interna tutta nostra, intendo dire “calabrese”. Fu così che a Gerusalemme, con me quell’anno, finirono anche Ugo Rendace, straordinario giornalista e direttore della fotografia, e Pietro Bianco, insostituibile assistente e macchina da guerra per la nostra organizzazione sul campo.

Rientrato a Cosenza da Israele, tornai a lavorare con Mimmo così come avevo fatto per tanti anni prima, ma poco tempo dopo lui venne promosso e trasferito a Roma, dove andò a fare il Vice Direttore della Testata. Un incarico di grande prestigio per lui, ma anche per tutti noi che con lui eravamo cresciuti insieme.

42 anni dopo la mia assunzione in RAI, dunque, mi piaceva conoscerlo meglio. Mi piaceva poterlo raccontare. Confesso, non lo vedo fisicamente da tantissimi anni, oltre quindici anni, ma mi piaceva soprattutto riscoprire con lui la magia della sua vita privata, che francamente conoscevo solo a sprazzi e a brandelli, ma solo perché la vita di una redazione a volte è così nevrotica e così folle da farti perdere pezzi importanti di vita personale per strada. Così è stato anche con lui.

Poi sono arrivati i suoi libri, le sue lezioni universitarie, i suoi primi premi prestigiosi, la sua partecipazione ai grandi congressi, con questo suo modo garbato, educatissimo, sempre sereno nel raccontare il Sud al resto del mondo, nessuno meglio di lui ha raccontato così bene il Mare Mediterraneo, e allora ho chiesto al direttore di Calabria Live, Santo Strati, di potergli dedicare una copertina, perché credo che sia arrivato il momento per il mondo della cultura calabrese, soprattutto, di riconoscere il valore delle sue ricerche. Credo che oggi questo mondo gli debba molto, e molto di più di quanto forse lui non abbia ancora già ricevuto.

Posso riproporvi un “pezzetto”, soltanto un pezzetto, di uno suo recente editoriale?

E’ una sorta di lettera aperta al capo dello Stato Sergio Mattarella e serve, spero, a darvi l’idea dell’attaccamento quasi morboso che Mimmo Nunnari ha del Sud, della sua terra e della gente che la vive, e che puntualmente viene fuori in ogni suo libro e in ogni sua riflessione pubblica.

Eletto (rieletto) il capo dello Stato, il galantuomo siciliano, il politico d’altri tempi, il cattolico Sergio Mattarella, e in vista, auspicabilmente, di profonde riforme istituzionali, capaci di ridisegnare il sistema istituzionale , l’occasione è buona per parlare di Stato, di Stato al Sud. Lo Stato padre/madre, come dev’essere nelle democrazie, dovrebbe comportarsi con tutti i suoi cittadini alla stessa maniera:riconoscendo i diritti di ognuno e pretendendo rispetto delle regole e dei doveri.  Ma è proprio così?  In Italia, paese dall’unità malcerta, piena di vizi d’origine che hanno penalizzato il Mezzogiorno, viviamo certamente in una democrazia, ma  non tutti i cittadini sono garantiti alla stessa maniera. Facciamo appunto l’esempio del Meridione. Al Sud, particolarmente in Calabria, che è sud del Sud, l’ultima regione d’Europa e allo stesso tempo la casa madre della mafia più violenta e potente de mondo, la Ndrangheta, lo Stato c’è e non c’è. E’ una presenza intermittente, una presenza incerta, figlia del dualismo, della frattura Nord Sud; di quelle anomalie  diventate nel tempo normalità in barba alle leggi, alla Costituzione, alle regole etiche e ai principi democratici…”.

Le cose poi che Mimmo Nunnari ha scritto in tutti questi anni sulla Calabria, e sul dissesto sociale di questa regione, meriterebbero di essere riprese e studiate, perchè ha ragione lui quando riflette sul fatto che nessun futuro per questa terra sarà mai immaginabile e realizzabile se non si parte dallo stato di coma in cui ancora oggi continuamo a vivere

Analisi attentissime, rigorose,rispettose delle varie posizioni ideologiche, che hanno fatto di lui uno dei giornalisti italiani più apprezzati e più seguiti dalla Chiesa di Papa Francesco. L’ultimo suo libro porta proprio la prefazione autorevole del Cardinale Matteo Maria Zuppi, arcivescovo metropolita di Bologna dal 2015, e dal 2022 Presidente della Conferenza Episcopale Italane, è il “sacerdote” che papa Francesco ha scelto in questi mesi come proprio ambasciatore di pace tra la Russia di Putin, l’Ucraina di Zelens’kyj e l’America di Baiden.

Il suo curriculum è oggi patrimonio della rete.

Mimmo Nunnari, giornalista scrittore, docente universitario. Ha lavorato per più di trent’anni presso l’azienda pubblica televisiva RAI, prima in Calabria, dove è stato responsabile dei servizi giornalistici fino al 1999, poi a Roma, dove ha ricoperto il ruolo di vicedirettore nazionale della Tgr per l’informazione regionale in ben 10 regioni tra Nord e Sud. Si è anche occupato di alcune trasmissioni televisive, documentari e reportage sulla realtà sociale e culturale del Mezzogiorno. Come docente universitario ha insegnato Teoria e tecnica del linguaggio giornalistico e Sociologia dei processi culturali e comunicativi. In Rai ha realizzato numerosi documentari tra cui Miti e Magia dello Stretto, Quegli anni dimenticati, Passaggio ad Oriente, Viaggio nella natura, I figli di Skanderbeg e Mille anni di silenzio.

I suoi libri: Nord Sud l’Italia da riconciliare; Storia della rivolta di Reggio; Dal giornale al portale; Media arabi e cultura nel Mediterraneo; Viaggio in Calabria, dalla Magna Grecia al Terzo Millennio; La lunga notte della rivolta; La Calabria spiegata agli italiani; Elogio della Bassitalia;Destino mediterrane,Solo il mare nostro ci salverà. Per Ilisso ha curato invece la prefazione del volume Sulla riva dello Jonio: appunti di un viaggio nell’Italia meridionale.

Il giornalista-scrittore Mimmo Nunnari
Mimmo Nunnari ai tempi in cui era Vice Diretore della TGR RAI

…Strettamente personale…

-Mimmo, qual è il primo ricordo della tua vita.

L’essermi svegliato un mattino nella casa di Catona dove sono nato e non avendo visto nessuno mi sono messo a piangere. La porta d’ingresso era aperta  e sono uscito di casa. Ero a piedi nudi col solo pigiamino indosso, piovigginava, e mi ritrovai improvvisamente in mezzo alla strada. Sentii il grido di mia mamma, che mi veniva incontro e mi prese in braccio, mi strinse forte al petto e mi riporto’ dentro. Era uscita un attimo, a comprare il latte per me, dal lattaio che ogni mattina passava davanti casa con un carrettino. Avrò avuto due anni o poco più. Forse mi ha fatto paura vedermi solo, non so. Fatto sta che me la ricordo ancora quella passeggiata a piedi nudi sotto la pioggia .

-Che infanzia è stata la tua?

Da nomade, letteralmente. Sono nato in una casetta color rosso melograno, accanto al Santuario di San Francesco di Paola, sulla via Nazionale a Catona, dove papà e mamma erano andati ad abitare appena sposati. Lui, tornato dalla prigionia, dopo la guerra, aveva dovuto inventarsi un lavoro. L’azienda agrumicola di famiglia in sua assenza era finita a gambe all’aria e lui si era messo a fare l’autista di camion per una impresa edile. Partimmo per Ribera, in Sicilia, poi andammo a Castiglione Cosentino, tornammo a Reggio, dove feci la prima elementare al Principe di Piemonte. Ricordo il nome della mia prima maestra, Adele Auteri, una donna dolcissima, materna, sebbene non fosse sposata. Ripartimmo l’anno dopo, per Delianuova, li’ papà fece l’autista di autobus di linea da Delianuova a Reggio e ritorno e mamma, che era una maestra di taglio e cucito, bravissima sarta, organizzò una scuola che frequentarono molte ragazze del paese. A Delianuova, frequentai seconda, terza e mezza quarta elementare, perché a un certo punto ripartimmo, destinazione Bagnara. Ho bei ricordi degli amici d’infanzia di Delianuova.

-Ma un giorno all’orizzonte della tua vita compare Bagnara?

Andammo a Bagnara. Per un destino non scritto ma obbligato vai dove c’è il pane e Bagnara fu l’approdo definitivo e felice, per quello che avvenne dopo. Calammo le ancore, a Bagnara. La mia storia e anche quella della mia famiglia  comincia li si può dire. Come l’argentino Luis Borges che di Buenos Aires diceva ci abitavo da prima, poi ci sono nato, a me di Bagnara piace dire: non ci sono nato, ma ci abitavo prima di essere nato. Li’, ci sono le mie vere radici e li sono tornato a vivere dopo più di quarant’anni di vagabondaggio professionale tra Catanzaro e Messina, con la Gazzetta del Sud, e poi Cosenza, Roma e mezza Italia, con la Rai, perché da vicedirettore della TGR, la più grande testata televisiva d’Europa, ho avuto in undici anni di servizio continuato deleghe per molte regioni, tra cui Liguria, Valle D’Aosta, Friuli Venezia Giulia, Marche, Abruzzo, Molise, Basilicata, Sardegna e Sicilia, oltre che per Rai Med, la cui sede era sempre a Palermo.

-Perché, sei tornato a Bagnara? Le alternative o opportunità non ti mancavano, a cominciare da Roma che è stata a lungo casa tua.

Ne sentivo il bisogno. Mi sento cittadino del Mediterraneo: un po’ greco, forse con antenati arabi, sicuramente con abitudini meridionali, e Bagnara è la città mediterranea ideale per cultura, tradizioni, dimensione umana; tutte  caratteristiche che si sommano, in un modo di vivere dove l’anima dei pescatori sta tra cielo e mare; mentre in collina, a Pellegrina, dove adesso vivo, c’è quell’intelligenza del fare che ha dato vita ad attività artigianali, boschive e rurali. Sono cresciuto alla marina, abitando in diversi rioni,: Pietraliscia, Scale di Pavia, Baracche inglesi, corso Garibaldi, via Giacomo Denaro. Ora, sto in una casa che è come un balcone sul mare e col telefonino fotografo di continuo l’orizzonte è lo Stretto, ad ogni ora del giorno, soprattutto al tramonto del sole.

-È a Bagnara che hai cominciato il lavoro di giornalista?

Si è anche molto presto, verso i diciassette anni, scrivendo articoli per la squadra di calcio Bagnarese per Gazzetta del Sud. Poi mi nominarono ufficialmente corrispondente e scrivevo di tutto: politica, cronaca, cultura, perché il corrispondente fa tutto da solo, come se fosse un’intera redazione, e lo fa per passione principalmente. Il corrispondente deve avere il fuoco della passione dentro. Ricordo il mio inizio, il primo pezzo dettato per telefono. Fu dal posto di telefono pubblico di un negozio  accanto alla lavanderia della signorina Gilda, che lessi con emozione  il mio primo ad uno stenografo. Non avevamo ancora il telefono in casa e lunico telefono pubblico si trovava lì. La domenica era chiuso e mio padre mi accompagnava col suo camion allAlbergo Orientale di Villa San Giovanni, dove c’era un centralino con avvisi, sempre aperto, cui era addetto un bambino di poco più di otto anni che correva in bicicletta a consegnare gli avvisi alle famiglie che aspettavano le telefonate dei loro cari, dall’America principalmente. Pochi anni fa appresi che quel bambino era  Vittorio Caminiti, oggi noto e bravo manager dellimprenditoria turistica. Lalbergo Orientale era di suo nonno. A quel tempo, eravamo nella prima metà degli anni Sessanta, avevo ancora unetà da calzoncini corti. Allinizio, oltre al telefono, non avevo neppure la macchina da scrivere e per un certo periodo lebbi in prestito da un amico di mio padre, fino a quando non me ne comprarono una. Bagnara e Gazzetta sono state una palestra umana e professionale straordinaria e indimenticabile.

-Le tue prime inchieste? O meglio i tuoi primi pezzi firmati?

Ho raccontato scrivendo cose serie e cose buffe, cose tristi e cose allegre, ho enfatizzato e criticato, fatto battaglie per la costruzione del porto e per la valorizzazione delle frazioni, scritto di nera e di calcio. A volte, col fotografo Eraldo De Lio, che abitava nella vicina Scilla, sbaragliammo la concorrenza, arrivando primi su alcune notizie. Eraldo, riusciva a procurarsi tutte le foto che servivano, era lesto, e il mestiere di fotoreporter l’aveva nel sangue. Un giorno di giugno del 1973, dopo tanta e benedetta gavetta, venni convocato a Messina dalla direzione e spedito alla redazione di Catanzaro. Erano i tempi dei mitici campioni del giornale: del direttore Nino Calarco e di Gianni Morgante che poi sarebbe diventato presidente e amministratore del giornale. Morgante fino a quando è stato in vita l’ho avuto come riferimento come uomo e come professionista unico e inimitabile.

-Cosa ricordi del tuo primo giorno alla redazione di Catanzaro?

A Catanzaro Il primo giorno di lavoro la pagina da riempire era completamente bianca e scrissi, senza fiatare, fino a sera, nove pezzi, ripescando dal cestino dei rifiuti cose che in mattinata avevo scartato e improvvisamente erano ridiventate notizie per necessità. Poi, uscii dal giornale che era a Largo Serravalle,  accanto alla Banca d’Italia, e feci il mio primo ingresso, pago e felice, alla Trattoria di don Giovanni il Gasparinoto, in vico Diana, accolto da un rispettoso coro degli avventori di buona sera dottore, benvenuto”. Erano informati di chi fossi e fu quella sera che diventai giornalista a ….pensione completa e laureato ad honorem dalloste don Giovanni e dai suoi amici. Pagavo 1100 lire a pranzo e 850 a cena. Ricevetti come primo stipendio un assegno circolare che nel giorno di corta portai a Bagnara consegnandolo ai miei genitori, Mimma e Peppino. Me lo restituirono, mi abbracciarono e quel giorno in casa scoppiò là felicità. Fu quel giorno che si lasciarono definitivamente alle spalle la tragedia della guerra e le difficoltà del dopoguerra. Cinquant’anni dopo – dopo una vita in Rai, dove fui assunto nel 1978 –  continuo a fare ciò che volevo fare da sempre, che sognavo di fare e che avrei fatto anche gratuitamente.

Da sinistra: Pantaleone Sergi, Mimmo Nunnari (Vice Direttore della TGR RAI) il direttore di Sede Basilio Bianchini, il Presidente della Regione Agazio Loiero e Pino Nano (allora Capo della Redazione Giornalistica di RAI Calabria)

-Eppure tu continui a scrivere ancora, come se avessi ancora vent’anni…

Scrivo ogni giorno, leggo giornali, riviste e libri e anche se la lavanderia della signorina Gilda non c’è più e neppure ledicola della stazione di Bagnara che per me da ragazzo era la seconda casa, nulla è cambiato. Curiosità e passione sono le stesse di quel tempo lontano di quando abitavo vicino alla stazione e all’edicola la signorina di Scilla che la gestiva mi prestava giornali e libri che non riuscivo a comprare, perché non avevo i soldi. Quando uscirono gli Oscar Mondadori però li acquistai tutti. Il primo, lo ricordo ancora, fu “Addio alle armi”, di  Ernest Hemingway. Ogni libro che usciva, settimanalmente, costava 350 lire, diciamo 20 centesimi di euro di oggi.

-Poi un giorno nella tua vita arriva mamma Rai…

Dopo la Gazzetta venne la Rai, a Cosenza, dove trovai Gege’ Greco, Ciccio Falvo, Emanuele Giacoia, Enzo Arcuri, Vincenzino  D’Atri, gli speaker Pupa Pisani e Giampiero De Maria e fior di tecnici che mi aiutarono molto, soprattutto per la radio, e cineoperatori tra i migliori in Italia, come Giancarlo Geri e Tonino Arena. Anche grazie a questi colleghi realizzai documentari, servizi speciali, feci la conduzione del Tg, seguii i viaggi del Papa Giovanni Paolo II e dei presidenti della Repubblica che scesero in Calabria in quegli anni. Diventai capo redattore della sede Rai  Calabria e poi ci fu il salto a Roma e la vicedirezione della TGR, la delega per Rai Mediterraneo, il coordinamento delle Tribune politiche, il grande progetto  di recupero e valorizzazione delle Teche regionali, un patrimonio di valore inestimabile.  –

-Come e quando ti è scattata la passione per il giornalismo?

Si dice che ogni uomo abbia in sé un germe di ribellione, che si assomiglia col germe della speranza. Entrambi, come altri impulsi dellanimo, fanno parte della Natura. Sentivo il bisogno già da ragazzino di ribellarmi. Ribellarsi, per uno che vive al Sud è inevitabile, senza violenza naturalmente. Ribellarsi è reagire, combattere contro qualcosa, non omologarsi alla cultura dominante, sentirsi liberi, desiderare di cambiare le cose. Significa difendere la tua storia, difendere il bello, difendere i valori della tua famiglia e della tua gente, dire no a menzogne e pregiudizi. Se nasci e cresci in Calabria capisci subito che per sopravvivere devi prendere per buona lespressione ribellarsi”. Come reazione contro le ingiustizie, le esclusioni, l’isolamento. E’ lindignazione che provi, che porta a insorgere, a dire basta, o quantomeno a provarci. Per cui, per tornare alla tua domanda cosa è scattato per desiderare di fare il giornalista rispondo che la scrittura, il giornalismo, ho capito che mi consentivano di coltivare il germe della ribellione. Avevo visto da bambino mio padre partire per il Nord per cercare un lavoro; per fortuna poi è tornato presto, non ce la faceva a stare lontano dalla moglie e dall’unico figlio e non c’erano le condizioni per partire tutti insieme per il Nord. Tornando, mio padre si è adattato a fare qualsiasi lavoro, pur di non far mancare niente alla famiglia. In situazioni così cresci subito e capisci che ribellarsi è un dovere, che devi lottare per  difendere la tua dignità, ma soprattutto quella dei tuoi cari. Certo, ci sono tanti modi di ribellarsi. L’importante è stare dentro il perimetro della legalità, del rispetto per gli altri e per le regole e le leggi. L’unica cosa da evitare è rassegnarsi. Se nasci al Sud non puoi permetterti di rinunciare a lottare. Anche entrare in politica, serve a ribellarsi, a tentare di cambiare un destino che in certi territori sembra una strada obbligata e senza vie d’uscita.

-E tu sei entrato in politica, o quantomeno l’hai sfiorata.

E’ vero, la politica è sempre stata “l’altra” passione. Sono cresciuto sentendo parlare di lavoratori, di necessità di giustizia, di disuguaglianze. Mio padre era socialista del PSI, poi è passato al PSIUP, che a Bagnara era un partito molto presente, anche per via della vicinanza geografica con Scilla, dove abitava uno dei leader nazionali, l’onorevole Rocco Minasi. Andavo con lui alle riunioni, avevo 13 o 14 anni, ascoltavo i loro discorsi: parlavano di ideali, di impegno per i deboli, di necessità di lotta. Una volta, ad una riunione conviviale che si tenne a Pellegrina ricordo in una casa attigua ad un forno, mi emozionai quando alla fine della serata sentii cantare tutti in piedi “Bella ciao”.

-Alla fine che scelta hai fatto?

C’è stato un momento in cui stavo per diventare comunista. Accanto a casa mia abitava un giovane studente universitario, esponente del Pci locale. Si chiamava Rosario Pietropaolo, studiava a Padova, e poi sarebbe diventato tra i più giovani professori universitari di Chimica, a Messina, e dopo ancora rettore dell’università Mediterranea di Reggio Calabria. Una volta, tornando a casa da Padova, durante le feste, Rosario, anzi Sarino, come lo chiamavamo tutti a Bagnara, mi propose di fare il segretario della sezione giovanile locale del Pci. Parlammo a lungo, andammo pure a Reggio insieme, ad una manifestazione che concluse un focoso giovane, che non conoscevo, si chiamava Pasquino Crupi. Era stato il suo un discorso appassionato, travolgente. Anni dopo, quando era diventato il più grande storico della letteratura meridionale, diventammo amici. Quel giorno della proposta di Pietropaolo comunque presi tempo per decidere.

-Come finì?

Che nel frattempo, una mattina di domenica all’uscita della messa mi avvicinò prendendomi sottobraccio un uomo veramente pio, di quelli oggi ormai rari, che  rispecchiano profondi sentimenti di fede e di devozione religiosa, una persona che viveva al servizio della Chiesa, un artigiano, fotografo di professione, don Ciccio Gioffre’. Mi fece un discorso come solo un vecchio curato che si occupa delle anime dei suoi parrocchiani avrebbe potuto fare. Forse il suggerimento di venirmi a parlare gli veniva dall’abate dell’epoca, don Mimmo Cassone, un santo prete originario di Villa San Giovanni. Don Ciccio mi parlò della necessità che i cristiani partecipino alla vita sociale della propria comunità fin da giovani e mi propose di diventare segretario degli aspiranti dell’Azione Cattolica. Accettai. E conobbi da vicino un piccolo mondo di cattolici giovani e adulti, alcuni dei quali stavano anche in politica. Fu l’inizio del mio avvicinamento alla Democrazia Cristiana. Determinante fu pure l’amicizia con il medico Carmelino Versace, colto e giovane politicamente impegnato, fratello di Diego all’ora  esponente di primo piano della Dc regionale. Intanto si intensificava il mio impegno di corrispondente della Gazzetta del Sud che mi portava a contatto con i protagonisti della vita sociale e politica del paese. Crescevo a pane ed esempi da imitare. Nel 1968, appena ventunenne venni eletto in Consiglio comunale. Allora si votava a 21 anni e per un certo periodo fui il più giovane consigliere comunale d’Italia. Il sindaco era Candeloro Deleo, ex generale dei carabinieri, responsabile del SIM, servizi segreti militari, durante la guerra. Una personalità carismatica, con un prestigio tale che quando si recava in Prefettura per affari del Comune, il prefetto lo attendeva all’ingresso, per riceverlo. Quel consiglio comunale di trenta consiglieri, in maggioranza democristiani, e con comunisti, socialisti, liberali, missini, aveva la dignità di un piccolo Parlamento. Era un luogo di dibattito e di decisioni che rappresentava realmente tutta la comunità. C’erano avvocati, professori, artigiani, pescatori, impiegati, tutti uomini, nella maggioranza e nell’opposizione, che sentivano il dovere di impegnarsi al servizio del bene comune. Naturalmente, ognuno lo faceva con modalità diverse, secondo la propria esperienza e le proprie attitudini, le vocazioni, i propri ideali. Per me fu una palestra formidabile che si interruppe nel giugno 1973 quando la Gazzetta mi assunse e mi mando’ alla redazione di Catanzaro. Allora lascia, per iniziare un’altra vita, quella che avevo sempre sognato.

-E’ dunque a Catanzaro che comincia l’avventura vera e professionale nel giornalismo.

Furono anni formidabili, fondamentali, per la mia maturazione professionale e umana. A Catanzaro, sebbene arrivassi da Reggio e le vicende della storia del capoluogo di regione fossero ancora fresche,  fui accolto bene, con simpatia e affetto. Catanzaro è una città accogliente, con una dimensione umana unica: quel modo di dire ndavariamu i vidira è tutto un programma. La redazione diventò un porto di mare aperta a tutte le realtà sociali, politiche, culturali, cittadine. Mi occupavo molto di politica, anche regionale. Il presidente della Regione era Antonio Guarasci, un leader democristiano prestigioso, con ottime relazioni col presidente della Lombardia Piero Bassetti, il presidente del Consiglio regionale era Mario Casalinuovo, giurista di fama, socialista. A Catanzaro era l’epoca di parlamentari come Ernesto Pucci, Franco Bova, Elio Tiriolo, democristiani, tutti con ruoli politici nazionali o di Governo. La mattina di domenica in Piazza Prefettura sembrava piazza Montecitorio. Avevo poco più di ventisei anni ma nonostante la giovane età i rapporti erano di pari dignità, con tutti. Il rispetto della classe politica per i giornalisti era massimo e le critiche, quando c’erano, venivano accolte con garbo. Era gente con, prima di tutto, stile, educazione e solida cultura.

Mimmo Nunnari in RAI a Cosenza , da sx Elio Fata, Mimmo Nunnari, Franco Martelli, Pietro melia e alle loro spalle Andrea Musmeci.

-Ne parli con un senso di nostalgia mi pare?

Non si può non avere nostalgia per quei tempi d’oro, che si guastarono con la crescita smisurata di potere della Regione. Dopo le prime legislature, con la presenza di politici di spessore, in tutti i partiti, cominciò il declino, inarrestabile. Anche il cambio di legge elettorale per l’elezione alla Camera dei deputati influì sulla deriva politica. Quando c’era il collegio elettorale unico e si votava con le quattro preferenze, i parlamentari avevano rapporti con l’elettorato di tutti i comuni della regione. C’era un senso di unità, conoscenza e rispetto del territorio, da un punto all’altro della lunga e differente Calabria. L’istituto regionale anziché unire ha frammentato il territorio e lacerato i rapporti. Non si è capito che le differenze armonizzate in un progetto di sviluppo di ampio respiro diventano ricchezza e invece si sono accentuati i conflitti. 

-Nel 1992 ti candidasti alla Camera nel collegio di Reggio.

Si. E non fui eletto. E’ stato l’anno del boom di Forza Italia che travolse tutto e tutti. Ero candidato per il Patto per l’Italia, una coalizione di centro costituita da Partito Popolare Italiano, Patto Segni, Partito Repubblicano Italiano, Unione Liberaldemocratica e indipendenti socialisti e socialdemocratici. In nessun collegio del Paese quella coalizione vinse. Riuscii ad ottenere, nel collegio Reggio Nord, che partiva da Delianuova e arrivava a Pellaro, una percentuale di consensi alta che tuttavia non fu sufficiente per essere eletto. Fu comunque un’esperienza straordinaria, presi molti voti, che potremmo definire d’opinione, pescando molto anche nell’elettorato di sinistra. Anni dopo, qualche vecchio amico, comunista dichiarato ed esposto, confesso’ di avermi votato. Allora fu Pierluigi Castagnetti, illuminato leader cattolico di scuola dossettiana, a sollecitare la mia candidatura ai vertici del Ppi .

-Che ricordi hai di quei giorni?

Martinazzoli, che allora era il segretario, mi chiamò a Roma, nella sede di piazza del Gesù e sapendo di una mia riluttanza alla candidatura lui, bresciano tutto d’un pezzo, uomo di carattere riservato, sorridendo, mi fece una battuta parafrasando la celebre frase del film il Padrino: “Ti faccio una proposta che non puoi rifiutare”. Ricordo i comizi, le folle di amici che credevano in quella candidatura, l’entusiasmo sincero, ma gli elettori preferirono Amodeo Matacena, candidato di Forza Italia. Fu meglio tutto sommato.Tornai rapidamente alla mia professione, anche se la vocazione per la politica è rimasta sempre. Si può fare politica anche scrivendo, i libri sono politica, gli editoriali, le analisi giornalistiche, sono politica. Nord Sud l’Italia da riconciliare, la Calabria spiegata agli italiani, Elogio della Bassitalia, lo Stivale spezzato, sono libri politici. Il fil rouge che li unisce è la condizione del Sud destinato a terra da sacrificare nel disegno perverso di tutti i Governi,  prima e dopo l’avvento della Repubblica.

-Mimmo hai raggiunto molti traguardi nella tua vita professionale e umana. Pensi di dover essere grato a qualcuno?

A tutti quelli che hanno creduto in me, agli amici che mi hanno incoraggiato, ma soprattutto ai miei genitori, Peppino e Mimma, che mi hanno dato tutto: educazione, amore infinito, dignità, senso del rispetto per gli altri. E poi a Caterina, mia moglie. Ci siamo scelti che lei era una ragazzina, stiamo insieme da sempre in pratica. Facciamo  tutto assieme. E’ lei, però, che sta al timone, traccia la rotta, e io la seguo. Certo, sono stato anche fortunato, ho fatto quello che ho sognato, ma se non ci fossi riuscito non mi sarei rammaricato più di tanto. Avrei fatto altro.Sono dell’opinione che quando ti alzi la mattina devi fare bene quello che ti capita di fare e se poi fai una cosa che ti piace meglio ancora. Non mi sono mai piaciuti premi, nastri, nastrini, medaglie e medagliette da appendere al collo. Eppure ne ho ricevuti tanti, alcuni accettati per educazione. Non ho mai avuto un biglietto da visita con l’elenco dei miei incarichi, se non quello che l’azienda dove ho lavorato una vita mi faceva d’ufficio e che sono rimasti intonsi.

-La Rai, cosa è stata per te?

Tutto, l’aria per respirare, l’acqua per dissetarmi, il cibo per nutrimento, il libro delle preghiere, per curare l’anima. Tutti criticano la Rai, ma nonostante tutto è la più grande azienda culturale d’Europa, una delle migliori aziende radiotelevisive del mondo. E’ stato un privilegio averci lavorato. La Rai, più cerchi di affossarla e più riemerge, la Rai è l’Italia, siamo noi, è lo specchio del Paese. Non capisco quelli che mangiano nel piatto della Rai e poi ci sputano sopra, mettendo le vele per altri lidi dove gli apparecchiano la tavola meglio. Altro che desiderio di libertà. Non sono martiri o eroi, come pretenderebbero di essere quelli che cambiano. Se tu credi in una missione e in un’azienda pubblica, come è pubblica la Rai, resti dentro e lavori per cambiare le cose che pensi debbano e possono essere cambiare. Detto questo, lo sanno pure i bambini che la Rai è occupata dalla politica, e non da ora. E non è problema di destra o di sinistra o di lottizzazione, che c’è sempre stata, sarebbe ipocrita negarlo, ma di malcostume che non ha colore, di circoletti magici che proliferano perlopiù nella melma della Roma politica trasversale e salottiera, senza etica e cultura: nella Roma del “se vedemo”, del “nun te preoccupaà”, del “mo’ aggiustiamo tutto”

Mimmo Nunnari con l’attuale vice direttore del TG2 Alfonso Samengo

-Qualche amarezza?

 Personalmente ho incontrato ostacoli, ho dovuto a volte aspettare, o perché come mi dicevano ero molto giovane, o perché le logiche politiche di determinati momenti non mi erano favorevoli, ma mi sono sempre comunque divertito, perché ho sempre fatto ciò che mi piaceva fare e quando ho raggiunto certi traguardi li ho raggiunti in piedi, con la schiena dritta, mancando l’ultimo traguardo, quello di una direzione, perché li e’ tutto un altro giro. Sono stato riconfermato dai consigli d’amministrazione per undici anni di fila, forse è un record, non lo so. Il rapporto che ho avuto con gli alti dirigenti e con la politica è sempre stato di pari dignità, ho rispettato e sono stato rispettato. Notoriamente non ho un buon carattere, non sopporto le furbizie. Solo l’invidia mi ha qualche volta creato insofferenza.

-Come vivi oggi la tua vita nell’eremo di Pellegrina?

Vivo in una casa che è come un terrazzo sul mare di Bagnara, con di fronte le isole Eolie, Stromboli, proprio davanti. Se giro lo sguardo, a sinistra vedo Scilla e lo Stretto, a destra la vista arriva fino a Capo Vaticano. Quando esco per strada incontro un’umanità altrove scomparsa. In casa, ho parte della mia biblioteca: la bibliotec- due diciamo, composta di libri sul Mediterraneo, la Grecia, il Medioriente, l’Africa, un po’ di classici, volumi di storia e saggistica. Il resto, il Mezzogiorno, la Calabria, la Sicilia, la politica, la religione, le biografie, i romanzi, sono nella casa a Reggio. Colleziono libri, non riesco a leggere tutto naturalmente, ma so di averli e so come cercarli, pur non avendoli catalogati.

-Tra le tue esperienze c’è l’insegnamento universitario.

Una cosa bellissima che è durata dodici anni tra l’Università di Messina nella facoltà di Lettere e l’università per Stranieri di Reggio Calabria. Ho avuto un rapporto straordinario con gli studenti. A Messina dove ho insegnato Teoria e Tecnica del Giornalismo a lezione avevo presenti sempre centinaia dì studenti. Venivano ragazze e ragazzi di altre facoltà perché c’era stato un passaparola riguardante un professore che non saliva in cattedra stava in mezzo agli studenti e alla fine della lezione apriva una discussione che finiva solo quando ci cacciavano perché serviva l’aula per alte lezioni. Questa esperienza mi ha arricchito. La stessa cosa è stata a Reggio all’Università’ per Stranieri.

-Dieci libri pubblicati, ed ora è in arrivo l’undicesimo.

Incredibile, se ci penso. Da “Nord Sud l’Italia da riconciliare” a “Lo Stivale spezzato”, c’è un file rouge che unisce questi due libri, usciti a distanza di trent’anni l’uno dall’altro: nel primo ho avuto il contributo del cardinale Carlo Maria Martini e dell’arcivescovo Giuseppe Agostino e nell’ultimo la prefazione del cardinale Matteo Zuppi, un vero dono di un grande uomo della Chiesa di Francesco. Adesso, arriva il mio primo romanzo: “Guerra e amore nell’Italia di Mussolini”, che uscirà a fine settembre per Rubbettino.

-Ci dai una anticipazione?

E’ un libro che nasce dalla storia d’amore tra mio padre e mia madre al tempo della guerra. E’ un romanzo sulla generazione – quella dei nostri genitori e dei nostri nonni, dipende dall’età che abbiamo – a cui la guerra di Mussolini rubo’ gli anni migliori della gioventù e i sogni sul loro futuro. I maschi, andarono al fronte a combattere e le donne, mogli, fidanzate, innamorate, rimasero ad aspettarne il ritorno, pregando ogni giorno che tornassero vivi, e sapendo che in seguito avrebbero dovuto portare per sempre incise nell’anima le ferite e le cicatrici più profonde di quella guerra assurda e stupida, come sono tutte le guerre. Sullo sfondo della Seconda guerra mondiale e del Sud dell’eterna solitudine il  racconto, tra amore e guerra, prende spunto dalle centinaia di lettere inviate dal fronte di battaglia in Africa del Nord e poi dalla prigionia in Sud Africa e Inghilterra dall’autiere Giuseppe Nunnari alla sua fidanzata Domenica Barberi.

-La storia insomma dei Nunnari, la storia della tua famiglia?

No, non è un libro su una storia di famiglia, per quanto bellissima. Narro, più in generale, gli anni del conflitto mondiale che s’annodano con la tormentata separazione forzata dei due innamorati, che come milioni di altre coppie della loro generazione sopravvissero  solo grazie all’amore, forte, saldo e resistente che vinse sulla follia della guerra. Nella storia d’amore, tormenti ed eventi bellici s’intrecciano, fino a giungere a quello straordinario periodo del dopoguerra, quando quella stessa generazione privata degli anni della giovinezza scrisse la pagina entusiasmante e irripetibile della rinascita dell’Italia. Le lettere che ho trovato in casa custodite dentro una vecchia scatola sono centinaia. Mi hanno dato lo spunto per scrivere un libro che è un modo per onorare la memoria di mio padre e mia madre.

-Bellissimo, un libro dedicato a tua madre e a tuo padre?

Era il mio dovere di figlio, un grazie a due genitori di quella generazione che ha donato, ma ha poco ricevuto.

(Pino Nano)

Prete di strada e già mediatore di pace in Mozambico, ecco perché Papa  Francesco affida al cardinal Zuppi la missione in Ucraina - Il Fatto  Quotidiano
Il Cardinale Matteo Zupi, Presidente della Conferenza Episcopale Italiana e amico personale di Mimmo Nunnari

Il Cardinale Matteo Maria Zuppi “Grazie Mimmo per le tue analisi”

Nell’ultimo libro di Mimmo Nunnari,  “Lo stivale spezzato. Superare la frattura Nord-Sud”,Edizioni San paolo, a firmare la prefazione del saggio dello scrittore calabrese è uno dei protagonisti oggi più influenti e più carismatici della Chiesa, il Cardinale Arcivescovo di Bologna Matteo Maria Zuppi Presidente della Conferenza Episcopale Italiana, e oggi anche Grande mediatore di pace in Ucraina tra il Vaticano Putin, Zelensky e Biden. Qui di seguito il testo integrale delle cose scritte a Mimmo Nunnari dal Cardinale Zuppi.(pn)

“Ringrazio Mimmo Nunnari, appassionato e intelligente giornalista, che non ha solo raccontato fatti di cronaca e avvenimenti, ma ha cercato di capirli per aiutare a cambiare la storia, per avere riposto tante considerazioni importanti su un tema che dopo decenni di considerazioni, scelte, piani, casse, interventi, è ancora drammaticamente aperto.

Egli ha coinvolto due testimoni qualificati, pastori di due delle principali città del Sud, figli essi stessi del Mezzogiorno: monsignor Battaglia, che nella sua attività di lotta alla schiavitù delle dipendenze, e poi come vescovo, ha ben conosciuto le conseguenze della situazione sui più fragili, e monsignor Lorefice, che unisce una sensibilità storica e teologica all’impegno a fianco dei più poveri. Essi ci aiutano, con le loro riflessioni, a rileggere le pagine di incredibile attualità, a rileggere il severo giudizio, del Cardinal Carlo Martini – di cui ricorrono i dieci anni dalla morte – a distanza di trenta anni dalla pubblicazione del libro Nord Sud l’Italia da riconciliare.

Se lo stivale è spezzato, e soprattutto se è rimasto spezzato, non è un caso, ma il frutto di scelte miopi, di interessi che hanno distorto i mezzi, di approssimazione, di velleitarismo. La riconciliazione è sempre possibile, ma solo partendo dalla consapevolezza di quello che non ha funzionato, senza nulla di catartico, così funzionale a che “tutto cambi e niente cambi”.

È necessario un deciso, consapevole, non opportunistico sforzo, capace di connettere le forze buone, le risorse, di creare alternative strutturali per sconfiggere quello che di fatto rappresenta un sistema e chi trae dall’arretratezza vari tipi convenienze. Non si può accettare un’ingiustizia evidente, che arriva addirittura a una diversa speranza di vita tra Nord e Sud e che causa ancora l’abbandono dei giovani della loro terra d’origine.

Non è venuta l’ora, in questa stagione in cui siamo aiutati a pensare un piano a lungo termine – con risorse che difficilmente si ripresenteranno a breve e che chiedono una capacità di progettazione e soprattutto di attuazione – di un impegno di tutti per mettere le basi per un sistema virtuoso efficace e duraturo? Non è il momento di una nuova organizzazione e di una creativa promozione della cultura di impresa e della cooperazione per un ecologia integrale e per lo sviluppo comune? Non accettiamo lo scetticismo o la rassegnazione per cui non si pone nemmeno nell’agenda il problema della frattura Nord Sud e di come riconciliare i due pezzi.

Il problema della riconciliazione è una sfida per tutti e in ogni situazione, perché il male divide e crea delle contrapposizioni, e la riconciliazione, anche dal punto di vista sociale e politico, è fondamentale, tanto più nel momento storico che stiamo vivendo. Abbiamo veramente bisogno di questa riconciliazione che comincia laddove si diventa consapevoli che le difficoltà vanno affrontate assieme e che non esiste soluzione ai vari problemi che si possa trovare da soli. Soltanto grazie a una vera riconciliazione si possono affrontare le grandi sfide che ci attendono.

Su questo tema le parole del cardinale Martini mantengono tutta la loro freschezza e attualità, soprattutto nella sua visione del prendere sul serio “la mentalità e gli atteggiamenti etici per i quali sono evidenti e decisivi gli influssi del cristianesimo” perché “occorre fare vedere come essi hanno creato unità tra correnti culturali diverse”.

È certamente l’auspicio e l’impegno di noi tutti. Questo libro ci aiuta a credere che la frattura verrà ricomposta e a scegliere di mettere le basi perché questo avvenga. È la speranza e il desiderio dei giovani, è il testamento affidatoci da tanti che si sono spesi per questo, è il compito di chi ama lo stivale intero e le due singole parti perché siano una cosa sola per davvero”.

Il giorno in cui il mio cuore si è fermato

Di Mimmo Nunnari

Camminavo con una bomba in tasca e non lo sapevo. Mattina di lunedì 8 novembre stava per scoppiare. Eravamo con Caterina mia moglie sul Corso Garibaldi a Reggio, per la consueta passeggiata, quando si può: una visita alla libreria Nuova Ave, anche solo per salutare Fabio, il patron; una caffè, nel bar di piazzetta Genoese Zerbi, poi il ritorno verso piazza del popolo dove frequentiamo volentieri il mercatino della frutta: un’esplosione di colori, vociante di accenti arabi, africani e reggini naturalmente. Una tipica e magnifica contaminazione mediterranea, un mescolamento di tradizioni, culture, difetti e pregevolezze umane.

Ho avvertito il malessere, quella mattina: una pressione/oppressione al petto e un formicolio al braccio sinistro. Ho chiesto a Caterina di tornare sui nostri passi, fino alla macchina, parcheggiata nei pressi del Museo. Lei, intuendo – le donne hanno una percezione particolare, in tutto – mi ha chiesto se volessi fermarmi, sedermi, da qualche parte, e chiamare il 118. Ho agito d’istinto, e ho risposto no.

Ho pensato che prima arrivavamo in ospedale, meglio sarebbe stato. Siamo arrivati alla macchina, ho guidato personalmente fino al Gom, l’ospedale metropolitano, nonostante le insistenze delicate di lei di guidare. Prima di tutto non volevo si preoccupasse eccessivamente. Al Pronto Soccorso dopo i primi accertamenti mi hanno avviato all’Utic, l’unità di terapia intensiva cardiologica diretta dal dottor Frank Benedetto.

Lì mi sono sentito al sicuro, qualsiasi cosa stesse accadendo ero nel posto giusto. Capivo, però, che non si trattava solamente della conosciuta insufficienza mitralica che da anni tenevo sotto controllo: c’era dell’altro sicuramente, ed è venuto fuori con un esame coronarografico che consente di “ispezionare” le arterie.

Le mie arterie, visualizzate, presentavano non pochi restringimenti e ostacoli che impedivano di portare sangue ricco di ossigeno al cuore: un rischio gravissimo.

Eccellenze Italiane, Pasquale Fratto – Pino Nano

Nella stessa serata il dottor Pasquale Fratto, direttore della divisione di Cardiochirurgia, ha deciso che mi avrebbe operato con urgenza. Fratto è un numero uno, nel campo della cardiochirurgia, con studi, esperienza e formazione europea e americana. Semplicità e garbo accompagnano la sua professionalità, e il suo atteggiamento modesto, umile, oltre che qualità sue personali, probabilmente hanno anche radici nell’educazione giovanile salesiana.

A Soverato, dov’è cresciuto e ha fatto i primi studi, ha frequentato l’oratorio e le scuole salesiane. Mi ha operato. Cinque interventi in uno, che la sua eccellente equipe ha definito un “interventone”. Fratto, la sua professionalità, la sua competenza, la sua equipe, mi hanno salvato la vita. La bomba che stava per scoppiarmi in tasca è stata disinnescata, svuotata della sua carica esplosiva. Non è certo il primo “interventone” del cardiochirurgo di origine calabrese, nei cinque anni della sua esperienza al Gom di Reggio Calabria e prima a Milano, e non sarà l’ultimo. Lui, che ha lavorato nel capoluogo lombardo, a Edimburgo, Berlino e nella Cleveland Clinic, negli Stati Uniti, ha vinto la sfida del ritorno nella sua terra d’origine.

Lo dicono i numeri: 1700 interventi in cinque anni, mortalità bassissima e allineamento della divisione di cardiochirurgia reggina agli standard nazionali ed europei.

Scrivo questo articolo, non per raccontare una vicenda personale, il cui interesse poteva benissimo rimanere ristretto nella sfera familiare e delle mie relazioni d’amicizia.

Scrivo per esprimere gratitudine a Fratto ed alla sua equipe, ma anche per introdurre il tema delle disuguaglianze nella sanità, che in Calabria non è più sopportabile.

Per fortuna, ci sono centri di alta competenza in Calabria, nelle diverse branche della medicina, che salvano vite, e limitano le vergognose emigrazioni al Nord per curarsi; ma oltre alle eccellenze in Calabria ci sono, come sappiamo bene, anche voragini spaventose nell’erogazione dei servizi sulla salute che nessuno, fuori e all’interno della regione, ha mai colmato, relegando una terra antica, e molto sofferente, in quei margini del mondo che gli studiosi individuano perlopiù nelle aree coloniali trascurate dei sud del terzo mondo.

Le disuguaglianze nella sanità sono le peggiori: le più ignominiose e crudeli, nel contesto del divario storico tra Nord e Sud dell’Italia.

Faccio ancora un riferimento personale: l’8 novembre (data, per giorno e mese, che coincide col mio malessere) di trentanove anni fa mio padre, Giuseppe, è morto perché allora non esisteva a Reggio una Cardiologia pari agli ospedali da Roma in sopra. Morì, nonostante il ricovero fosse avvenuto in tempo. Morì in Ospedale. Morì perché si trovava in Calabria, e non a Roma, Bologna, Milano, Torino, Padova o altre città del Nord, dove si sarebbe salvato. Morì per disuguaglianza di Stato, perché l’articolo 32 della Costituzione, che garantisce la tutela della salute come fondamentale diritto dell’individuo, alle nostre latitudini non è mai stato applicato. Quarant’anni dopo la situazione non è cambiata in Calabria.

Considerato il profilo professionale (generali dei carabinieri, prefetti e in qualche esperti, ma giocondi amici degli amici della ditta “rossa” emiliana) dei vari commissari che si sono succeduti, al Governo avranno confuso la salute con l’ordine pubblico o con la lottizzazione politica. Come se a capo di una questura o una prefettura si decidesse di mandare un medico, un professore di filosofia, un carpentiere o un perito elettrotecnico.

Quante morti ci sono state, a causa di questa assurda gestione della sanità? Non saprei rispondere, non ci sono statistiche di questo tipo. L’unica certezza è che i morti ci sono stati, e ci sono ancora. Morti causate dalle differenti opportunità di potersi curare, nel Sud, rispetto al Nord. Morti inammissibili, in uno Stato dove i diritti dovrebbero essere uguali per tutti, come c’è scritto nella Costituzione.

Le disuguaglianze, nella sanità, sono differenti dalle disuguaglianze economiche e sociali, che cataloghiamo, fin dal tempo dell’Unità, nell’ambito della forbice del divario Nord Sud. Nel caso della sanità la differenza non è nel rapporto tra ricchezza e povertà, tra occupazione e disoccupazione, nel tenore di vita o nei servizi offerti al cittadino o nelle dotazioni infrastrutturali, anch’esse intollerabili, ma è un confine tra la vita e la morte.

Chi può contare su un sistema sanitario organizzato ed efficiente, vive. Chi, al contrario, deve contentarsi di strutture e servizi sfasciati, o mancanti, nonostante la bravura dei medici, che sono eroi civili, per la loro dedizione, muore.

Sarebbe esagerato classificare queste morti, per mancanza di un sistema sanitario efficiente e organizzato, tra i delitti di Stato? Penso proprio di no.

(Era l’8 Novembre del 2021 quando un malore improvviso pareva potesse mettere fine alla sua vita, e una volta superata la crisi Mimmo Nunnari ha raccontato pubblicamente quel suo giorno di solitudine)

I mille racconti di Mimmo Nunnari

Lo stivale spezzato. Superare la frattura Nord-Sud - Mimmo Nunnari - copertina

Lo stivale spezzato.

Superare la frattura Nord-Sud

Lo stivale spezzato. Superare la frattura Nord-Sud” è il racconto e il punto della situazione di un fenomeno storico unico nell’Europa democratica. È la storia di due territori, il Nord e il Sud dell’Italia, separati, rancorosi, divisi e lacerati all’interno della stessa nazione e sotto il manto garantista di una stessa Costituzione. Il libro illustra la nascita e la gravità della “questione meridionale- (vizio d’origine dell’Unità) mai risolta, diventata questione permanente e apparentemente irrisolvibile, anche alla luce dei dati più recenti. L’autore propone infine una possibile via di soluzione, mettendosi in ascolto di tre voci autorevoli della Chiesa italiana di ieri e di oggi: – Il cardinale Carlo Maria Martini, intervistato nel 1992 proprio su questo tema; – mons. Mimmo Battaglia, arcivescovo di Napoli, pastore di una delle città italiane più segnate da forti contrasti economici, sociali e culturali del nostro meridione; – mons. Corrado Lorefice, arcivescovo di Palermo, guida della Chiesa in una città che aspira a un nuovo sviluppo, posta al centro del Mediterraneo.

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Elogio della Bassitalia

Con qualche invettiva contro il razzismo del Nord

Bassitalia è un luogo “enigmatico” che comincia dopo il Lazio e finisce a Punta Pescespada, scoglio di Lampedusa di fronte all’Africa. È un nome poetico che soddisfa desideri di bellezza e risveglia ricordi di “viaggi nel tempo” da Paestum alla valle dei Templi, ma è anche un’espressione ambigua dove la parola bassa non denota la posizione sulla carta geografica ma il “censo”, cioè la condizione economica sociale e civile “inferiore” che certo Nord individua nella metà meridionale dell’Italia che, mai così in pericolo e contesa, ha l’occasione per riscoprire il valore dello stare insieme in una fertile competizione, ripensandosi e ritrovando l’unità, che come idea è nata dal Rinascimento, dalla bellezza dei luoghi, e dallo slancio offerto dall’eredità della cultura classica del Mezzogiorno.

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Destino mediterraneo

Solo il mare nostro ci salverà

Il Mediterraneo è un “enigma meraviglioso”. Mare di viaggi avventurosi, teatro delle più grandi battaglie navali della storia e di conflitti religiosi insanabili, dimora comune di ebrei cristiani e musulmani, culla di Omero. Mare interno, lo chiamavano i Greci, e nostro i Romani. È un pezzo di mondo dove tutto è accaduto, e tutto accade: nascita del pensiero greco e della cultura araba, mescolanze di civiltà, popoli e tradizioni. Nunnari racconta il Grande Mare delle tre religioni monoteiste, degli scambi, dei commerci, delle bellezze del paesaggio e della natura, dei misteri, delle leggende, delle scorrerie piratesche e delle migrazioni bibliche. Riflette a lungo sull’Italia, che nel Mediterraneo è interamente immersa, col suo Sud, avanguardia occidentale verso Medioriente e Africa del Nord, e ponte di collegamento dell’Europa. Nonostante tutte le contraddizioni, i ritardi sulla modernità, le incessanti correnti migratorie, e i focolai di guerra, il nostro mare – sostiene l’autore – è il posto giusto per riscoprire la cultura d’origine dell’Occidente e lo spirito europeo: “Mediterraneo non è solo una nozione geografica, ma un vecchio nome, che si porta dietro la storia di tre continenti e di tre insiemi di civiltà; un patrimonio culturale che, in un futuro che si presenta pieno d’incognite, nel mondo che naviga senza bussola, smarrito, impaurito, e rinchiuso nei suoi falsi valori ingannatori, rappresenta l’eredità che ci può salvare”.

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La Calabria spiegata agli italiani

Il male, la bellezza e l’orgoglio della nostra Grecia

Ma perché la Calabria è così? Metà inferno e metà paradiso, terra di misteri e ombre nere, scenario di bellezze ineguagliabili, territorio accogliente, teatro di violenze mafiose. L’autore analizza ogni cosa pezzo a pezzo, partendo da memorie lontane, per spiegare la misteriosa trasformazione di una antica regione da erede della civiltà ellenica a simbolo di degrado e sottosviluppo. L’aver tenuto separati Sud e Nord dopo l’Unità, con l’egoistico e calcolato scopo di favorire il progresso di una sola parte d’Italia, è il “vizio d’origine” di un’anomalia unica in tutto l’Occidente, che vede un Settentrione progredito e un Meridione arretrato nell’ambito di una stessa nazione e sotto il manto “garantista” di una stessa Costituzione. Solo in una prospettiva di riconciliazione del Paese, che batta pregiudizi e rassegnazione, sarà possibile affrontare la “questione”. Ma bisogna fare presto. Se una parte d’Italia s’inabissa, l’altra – con le sue fragilità, i populismi, la corruzione diffusa – corre il rischio di ridursi al vecchio incerto destino preunitario di semplice espressione geografica.

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Nord Sud. L’Italia da riconciliare

di Giuseppe Agostino (Autore), Carlo Maria Martini (Autore), Domenico Nunnari (a cura di)

L’Italia attraversa una fase delicata della sua storia. In questa situazione, attraverso la voce dei suoi pastori, la Chiesa si propone come forza di riscossa morale, di conciliazione e di unità.

Media arabi e cultura nel Mediterraneo di [Giuseppe Bova, Donatella Della Ratta, Predrag Matvejevic, Roberta Nunnari, Francesca Passalacqua, Rosario Maria Russo, Ornella Milella, Domenico Nunnari]

Media arabi e cultura nel Mediterraneo

Il volume è a cura di Ornella Milella e Domenico Nunnari, da una ricerca coordinata da Donatella Della Ratta e con la collaborazione di Roberta Nunnari e Naman Tarcha. Saggio introduttivo di Predag Matvejevic.

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Dal giornale al portale.

Storia e tecniche della comunicazione

Il lungo viaggio, nella galassia della comunicazione, ha però origini molto più antiche e si può dire che inizi con l’uomo. Ripercorrere questo viaggio, dal punto di vista storico e professionale, rappresenta un’esperienza affascinante e ricca di sorprese ed è quanto si propone in questo libro l’autore, seguendo un itinerario che porta da Gütenberg a Internet e incrociando i momenti fondamentali della storia dell’Europa e dell’Occidente: la stampa dei primi libri, la nascita dei giornali, le battaglie politiche, i conflitti tra nazioni, le esplorazioni di nuove terre, lo sviluppo dei commerci e l’affermarsi della democrazia.

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La lunga notte della rivolta.

Reggio Calabria 1970-1971. Una ribellione popolare nel Sud d’Italia

Viaggio in Calabria: Dalla Magna Grecia al Terzo Millennio. Con foto di Antonio Renda di [Domenico Nunnari]

Viaggio in Calabria

Dalla magna Grecia al terzo Millennio

Impenetrabile ed enigmatica, o misteriosa e inesplorata, come diceva Corrado Alvaro, che cosa sia precisamente la Calabria non è facile definire. Il viaggio che compie questo libro, mette insieme memoria e immagini di una bellezza che non si è consumata col tempo: uno splendore che riverbera la luce interiore dell’anima di una terra con tremila anni di storia. Già in tempi lontani, il nome Calabria, richiamava a quei luoghi dello spirito in cui perdersi e ritrovarsi, ad una terra dove finisce un mondo e ne comincia un altro, a paesaggi da favola e a gente generosa e accogliente. Di queste qualità della Calabria, nel libro, si trova testimonianza nel racconto degli spiriti indipendenti che in passato l’hanno visitata e hanno saputo guardare con affetto e occhi molto sensibili, smantellando montagne di calunnie e pregiudizi. A quelle intelligenze ed alle loro opere letterarie deve molto la Calabria, per essere uscita da un oblio secolare. A cominciare da Francois Lenormant, che in essa vide riunita ogni bellezza in una volta e da Paul Louis Courier, per il quale, in fondo allo stivale, “siamo nel più bel paese del mondo”. Ancora oggi le tracce della cultura e della bellezza di un tempo sono molte, e rivivono nella narrazione di queste pagine, ma soprattutto nelle immagini e in quello sguardo che non tradisce, e fa trasparire (insieme alla magnificenza del paesaggio e della natura) l’energia spirituale di una parte tra le più splendide del Paese. (Pino Nano)

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