Lo scienziato che lascia Oxford per il Campus di Arcavacata
Pino Nano
“Attenzione, non possiamo fidarci ciecamente dell’intelligenza artificiale. Chat Gpt fa errori anche banali, e ciò è dovuto all’attività di compressione. I sistemi comprimono tutto il web e utilizzano una rete neurale che è più piccola del web e perde informazioni. Quindi, in fase di ricostruzione possono essere collegate tra loro informazioni non coerenti che generano un risultato non corretto. Se chiedo a Chat Gpt di scrivere una lettera, lo fa bene perché non necessita di conoscenza fattuale precisa. Se però chiedo a Chat Gpt di scrivere il mio curriculum, attribuisce a me pubblicazioni di altre persone perché essendoci una perdita di informazioni lavora per similarità. Ovvero: cerca di correggere la mancanza di informazioni estrapolando qualcosa di simile. Ci sono poi altre ‘falle’. Chat Gpt non è stata addestrata in modo uguale su tutti i domini applicativi, ma su alcuni molto di più che su altri. Se applico questo sistema nei domini in cui è avvenuto il training, allora il risultato avrà una probabilità più alta di essere corretto. Altro problema deriva dal fatto che spesso le informazioni con le quali sono state addestrate le intelligenze artificiali non sono corrette se vengono prese direttamente dal web e non verificate. E Chat Gpt non ha pensiero critico, e quindi non ha capacità di ragionamento complesso. Infine, spesso i risultati delle richieste fatte ad algoritmi come quelli che usa Chat GPT non riportano necessariamente risposte strettamente attinenti alla domanda, ma preconfezionate, ritenute più interessanti o importanti rispetto ad altre solo perché più ricercate o più frequenti”.
Georg Gottlob, professore all’Università di Oxford e oggi professore all’Università della Calabria, lui oggi è uno dei massimi esperti al mondo di Intelligenza Artificiale e questo è diventato ormai il suo mantra, la sua filosofia di vita, il suo modo di credere, o anche di non credere, nell’Intelligenza Artificiale.
Dell’Intelligenza Artificiale -spiegano gli analisi del Censis- si parla molto, e non tanto per i suoi impieghi, quanto invece per gli effetti che essa potrà avere nel futuro, e mentre rimaniamo per lo più incerti nel soppesare i benefici e i pericoli connessi all’impatto dell’Intelligenza Artificiale sulle nostre vite e sugli apparati produttivi- aggiungono- “il sentiment di quanti l’hanno già testata oscilla tra la paura e l’acceso consenso, secondo uno schema dicotomico che si ripresenta ogniqualvolta ci troviamo di fronte a grandi rivoluzioni tecnologiche annunciate”.Dai risultati definitivi del 19° “Rapporto Censis sulla Comunicazione” – promosso da Intesa Sanpaolo, Mediaset, Rai, Tv2000 e Windtre, e presentato Roma nelle settimane scorse da Giorgio De Rita, Segretario Generale del Censis- “il 74,0% degli italiani oggi ritiene che attualmente gli effetti prodotti dall’Intelligenza Artificiale siano imprevedibili”.
Eppure- spiegano gi analisti del Censis- in proporzione pressoché analoga, vengono espressi giudizi molto netti sugli effetti che essa potrà produrre, sia di tipo allarmistico che ottimista. Tra questi ultimi, si può annoverare il 73,2% di quanti ritengono “che le macchine non potranno mai sviluppare una vera forma di intelligenza come gli umani”. Questa impressione è però contrastata dal 63,9% del totale, che contemporaneamente ritiene “che con l’avvento dell’Intelligenza Artificiale ci sarà la fine dell’empatia umana a causa della crescente dipendenza dall’interazione con le macchine”.
Ma chi può realmente dirci qual è la verità?
Certamente può farlo Georg Gottlob, professore di informatica all’Università di Oxford e che su invito dell’Università della Calabria ha accettato nei mesi scorsi di venire in Calabria e proseguire le sue ricerche avanzatissime in tema di Intelligenza Artificiale nei laboratori del Dipartimento di Matematica del Campus universitario calabrese di Arcavacata. E che vado a cercare.
La prima cosa che mi viene in mente è allora quella di dedicargli una delle copertine della “Domenica di Calabria Live”, ma francamente mi aspettavo però dal Direttore del giornale Santo Strati, e a ragione, la sua solita obiezione di fondo. “Ma Gottlob non è un calabrese”.
Oppure, “Non abbiamo mai dedicato una cover ad un personaggio che non abbia almeno origini calabresi. Perché cominciare ora?”. Cosa che però il Direttore del giornale, per la verità, non ha neanche pensato.Ma se me lo avesse chiesto, gli avrei risposto quello che penso dal primo giorno in cui lo scienziato austriaco è arrivato in Calabria.
Gottlob, perché oggi lui è il racconto forse più immaginifico che si può fare della Calabria di queste ore.
Gottlob, perché francamente è curioso, ma soprattutto interessante, cercare di capire perché uno studioso di fama internazionale come lui lascia l’Università di Oxford e decide di vivere la sua ultima stagione accademica sul mare di Paola, dove si è trovato casa.
Gottlob, perché conosce la vita e la storia dell’Unical da tantissimi anni ormai, da quando cioè giovani ricercatori -come Nicola Leone, per esempio, attuale Rettore dell’Unical- tantissimi anni fa erano stati proprio da lui nei suoi laboratori per seguire le sue lezioni.
Gottlob, perché oggi lui viene considerato uno dei massimi esperti di Intelligenza Artificiale in tutto il mondo, e lui oggi si sente, e lo dice, più calabrese di tanti altri come noi.
Gottlob, perché quando viene invitato da Bruno Vespa in televisione per raccontare la sua storia personale, in realtà parla soltanto delle bellezze superlative del mare di Calabria, e ne diventa come d’incanto il vero testimonial di questi anni.
Gottlob, infine, perché lui è oggi l’immagine internazionale della prima e della più grande Università calabrese, e con la sua scelta di vita realizza finalmente il sogno originario di quello che era stato il primo rettore dell’Unical, e che era il prof. Beniamino Andreatta, e che 50 anni fece salti mortali per portare sulle colline di Arcavacata il primo studioso canadese che allora si occupava di informatica e di algoritmi.
Ecco perché credo che il prof. Georg Gottlob oggi meriti a pieno titolo una cover tutta sua su un giornale che ogni giorno racconta la storia dei calabresi e della Calabria. Oggi il professore austriaco è senza dubbio un “pezzo” fondamentale della vita di tutti noi, la punta di diamante di un “sistema-Pese” ancora in crescita e che guarda al futuro.
Ma partiamo dall’inizio di questa storia.
Gennaio di quest’anno, 2024. Subito dopo Capodanno, la città di Paola dà il suo benvenuto ufficiale al grande Georg Gottlob, lo scienziato che ha appena lasciato l’Università di Oxford per venire a lavorare e a vivere in Calabria, e che ha scelto Paola come sua città di adozione, città a cui il grande matematico austriaco dedica interi passaggi delle interviste più importanti ai giornali che lo cercano da tutto il mondo, proprio per spiegare che “non avrebbe potuto trovare posto più suggestivo e più bello di questo”.
“Vivo praticamente sul mare -dice- in una casa dove il mio cane ha anche incontrato il grande amore della sua vita. Meglio di così non mi poteva andare, ma questo lo rende sereno e tranquillo, anche quando io mi devo allontanare da casa per qualche ora. E la cosa più bella è che qui a Paola, ho trovato dei vicini di casa che sono di un garbo e di una gentilezza estrema e questo riempie di gioia la mia nuova dimensione esistenziale e quella di mia moglie Laura”.
La festa in suo onore l’ha fortemente voluta il sindaco della città di Paola, Giovanni Politano. L’appuntamento della festa è per il pomeriggio, nel Complesso Sant’Agostino, dove il “professore” racconta la “gioia” di essere diventato anche lui uno dei tanti figli del “Sud del mondo”, dove oggi è venuto a vivere, ai piedi del Santuario che custodisce le reliquie del Santo Patrono della Calabria e con il mare che si affaccia sui suoi testi di algebra e logica matematica.
Insieme al grande teorica dell’Intelligenza Artificiale quella sera con lui c’è anche uno dei suoi amici più “speciali”, Nicola Leone, l’attuale Magnifico Rettore dell’Università della Calabria, anche lui uno studioso di grande spessore internazionale e che Georg Gottlob conosce da almeno trent’anni, da quando cioè insieme si sono incontrati per la prima volta in Germania per un progetto di ricerca comune.
Da allora, la loro vita è andata avanti intersecandosi per il mondo, e lungo la strada complessa e tortuosa degli algoritmi. 30 anni dopo, Nicola Leone diventa Rettore del Campus di Arcavacata, e la prima cosa che fa è quella di chiamare ad Oxford il suo vecchio amico Gottlob e proporgli la “sfida del futuro”.
Chi l’avrebbe mai immaginato? A prima vista sembra “Un salto nel buio”. Gottlob intuisce che la telefonata che Nicola Leone gli fa dalla Calabria potrebbe essere invece anche la chiave di lettura ideale per nuove conquiste e nuovi successi internazionali, e accetta senza riserve.Fa esattamente come avrebbe fatto un grande campione dello sport.
Alla soglia delle 70 primavere, Georg Gottlob rifà dunque le valigie e riparte di nuovo. In realtà gli è bastato che Nicola Leone gli parlasse di “Intelligenza Artificiale” applicata alla medicina, per cogliere il senso e la portata dell’offerta che gli era stata appena fatta. Quale sfida migliore di questa? Sostanzialmente -gli spiegano- hanno bisogno di lui per capire realmente quanto l’Intelligenza Artificiale possa aiutare concretamente la nuova Facoltà di Medicina appena avviata all’Unical, e in che modo- soprattutto- possa diventare possibile sfruttare al massimo le sue conoscenze da mettere questa volta al servizio esclusivo della salute dei calabresi.
Chi di voi avrebbe detto di no? Per giunta, il prof. Gottlob, che ha una conoscenza planetaria del mondo accademico informatico, sa bene che in Calabria troverà un dipartimento di matematica di grande tradizione, con professori che hanno alle spalle centinaia di pubblicazioni importanti in tema di AI, e diretti da un giovane scienziato che risponde al nome di Gianluigi Greco.
È in realtà il vecchio team di ricerca di cui fino all’altro giorno faceva parte lo stesso Nicola Leone, a sua volta erede naturale del vecchio direttore di dipartimento, il prof Domenico Saccà, e che oggi Georg Gottlob definisce uno dei migliori cervelli mai incontrati in Italia.
Insomma, storie di eccellenze che si incontrano, che si ritrovano, che si lasciano, che si riprendono e che si cercano nei momenti clou della propria vita professionale.
Tutto questo ed altro ancora Georg Gottlob e Nicola Leone raccontano a Paola in quella occasione così speciale -ma la prima di una lunga serie di feste organizzate poi ancora in Calabria in onore del grande matematico- dove il gran cerimoniere di corte era quel genio insuperabile del giornalismo calabrese che risponde al nome di Paride Leporace. Una festa, insomma, ai massimi livelli.
Si realizza così, dunque, quello che era il grande sogno di Beniamino Andreatta.
-Professore, ma c’è da
fidarsi oggi dell’Intelligenza Artificiale, mi dica la verità?
“L’ho
già detto mille altre volte. L’Intelligenza Artificiale deve avere delle
regole. Senza regole, l’uso della stessa comporterebbe senza dubbio tutta una
serie di pericoli, e di trappole pericolose”.
-Quali per esempio?
“L’esempio più classico è quello delle reti sociali. Pensi che oggi il populismo, in tutto il mondo, viene sostenuto e alimentato dalle reti sociali. Non tutti lo sanno, ma l’Intelligenza Artificiale oggi è in grado di creare l’avatar di una persona, farle dire cose che non ha mai detto e diffondere il messaggio attraverso il web. E dunque, la gente penserà che sia tutto vero”.
-Quello che vediamo sempre più spesso in televisione soprattutto in programmi di satira politica?
“Mi creda, in alcuni casi è davvero difficile capire cosa è vero, e che cosa invece non lo è”.
-Come se ne esce?
“Riscoprendo e seguendo con rigore assoluto alcune regole etiche fondamentali”.
-Come giudica l’accordo sottoscritto da alcuni Paesi sulla gestione dell’Intelligenza Artificiale?
“Se lei allude a quello che noi chiamiamo “AI Act”, accordo di massina per giunta non ancora definitivo, e a mio giudizio anche non ancora del tutto completo, le dico subito che a mio giudizio i Paesi dell’Unione Europea sono arrivati oggi ad un compromesso che è abbastanza serio, credibile, e utile per tutti”.
-Professore, e per chi osa violare le regole?
“Allora diventa necessario e fondamentale varare delle leggi severe, per evitare ogni forma possibile di abuso”.
Ecco la mia vita segreta…
Professore, mi dice che cosa ha portato da Oxford con lei a Paola, dove oggi ha preso casa?
Naturalmente Laura, mia moglie, e il nostro cane, Robin. Anni fa abbiamo preso questo cane perché come in tutte le famiglie di questo mondo, mia figlia voleva un cane tutto suo, ma che in realtà è poi diventato nostro, perché alla fine i figli con il fatto o la scusa che devono studiare, non hanno mai tempo per curarlo, e allora te lo lasciano a casa inevitabilmente per sempre. Accade credo nel 99 per cento delle famiglie di tutto il mondo.
-Professore ma che cane ha?
Abbiamo un Jack Russell Terrier, un cagnolino vivace, sveglio, intelligentissimo. Devo dirle anche che è un cane molto simpatico, molto legato a me e a mia moglie, per giunta anche innamorato. Pensi che si è innamorato appena arrivato a Paola di una cagna molto bella, un labrador, che ha conosciuto qui, è il cane dei nostri vicini di casa, e lui – può intuirlo- è davvero molto felice di essere arrivato a Paola. Ma anche noi per la verità, perchè se partiamo sappiamo dove lasciarlo dai nostri vicini di casa e amici che lo tengono e lo curano come fosse proprio.
-Professore leggo che lei viene indicato come uno studioso di origini italo-austriache. Mi viene il dubbio che lei in fondo in fondo abbia qualche origine anche italiana?
Assolutamente no. Sono solo austriaco, profondamente austriaco, e ho la cittadinanza italiana per essere venuto più volte a lavorare in Italia. Ho fatto tre anni prima a Milano, poi a Genova, e questo col passare del tempo mi ha permesso di diventare anche cittadino italiano. E pensi che ricordo ancora le file infinite che ho fatto prima a Milano poi a Genova, davanti alla questura, insieme a tanti altri immigrati, per rinnovare il mio permesso di soggiorno. Essendomi sposato con una donna italiana, ho pensato “Ma perché non prendere la cittadinanza italiana?”. Del resto mi toccava anche per legge, di diritto. E così è stato.
-Che rapporto reale lei ha oggi con l’Italia’
Mi sento profondamente anche italiano. Non badi al mio accento tedesco, ma sono molto legato al vostro Paese. Amo molto l’Italia e la vostra gente.
-Noto però che lei parla oggi un italiano perfetto?
La ringrazio molto, mi fa piacere sentirmelo dire, anche se le confesso che non l’ho mai studiato. L’ho imparato vivendo in Italia, lavorando tra la gente, ma non l’ho mai studiato.
-Ho letto da qualche parte che i suoi primi viaggi in Italia lei li ha fatti con i suoi genitori?
Le racconto tutto, anche perché questo è stato poi determinante per il mio futuro. Io ho imparato ad amare l’Italia sin da quando ero piccolo. Avevo tre anni quando mio padre e mia madre ci portavano in vacanza in Italia.
-Ricorda dove andavate in vacanza?
Ricordo di essere stati per almeno tre quattro anni almeno Grado, in campeggio.
-Ricordi particolari professore di quel periodo?
Indimenticabili devo dire erano le tartarughe selvatiche che allora c’erano in quella zona. E poi il mare, la costa di Grado, il vento che soffiava sul mare. Ma quelli sono stati anche anni di lunghe passeggiate e di vere e proprie immersioni nella natura bellissima delle vostre campagne italiane. Pensi che noi ragazzi dormivano ina una tenda tutta nostra accanto a quella dei miei genitori, e tutto questo per noi allora era bellissimo davvero. Di quella pineta dove noi avevamo le nostre tende ho ancora ricordi fantastici. Allora non è come è oggi, nei campeggi cerano spazi incredibili, oggi invece gli spazi sono molto ridotti ed è tutta un’altra cosa. E poi ancora, posso dirglielo? ricordo i semafori che c’erano per le strade di Grado, erano piccoli semafori per i pedoni che dovevano attraversare la strada che poi arrivava al mare. Per noi era un gioco fantastico, da noi in Austria i semafori non cerano ancora e in Italia erano i nostri giocattoli preferiti.
-Bei ricordi professore?
Non finisce qui. Ho poi mille ricordi belli legati alla vostra cucina, alle vostre tradizioni culinarie e alimentari. Mi ricordo certe mangiate di pesce che facevamo in campeggio, mio padre portava il pesce e lo cucinava sulla griglia da campo, era bellissimo per noi. Ricordo ancora benissimo il giorno in cui mio padre mi portò per la prima volta al mercato del pesce di Grado, impressionante, suggestivo, unico in senso assoluto. Ma ricordo anche che qualche anno più tardi, per tre o quattro anni ancora, mio padre ci portò a Gabicce mare, e anche lì, ricordo vacanze bellissime.
-La sua escursione più bella allora?
Direi senza ombra di smentite, Trieste. Miramare, tutta la fascia marina e costiera di Trieste è bellissima. Ma come potrei dimenticare il giorno in cui mi portò a visitare il castello di San Marino? Toccavano con mano quello che magari in Austria avevano incontrato per caso sui libri di scuola. Era come se facessimo le nostre vacanze in un paese da favola. Pensi alla mia prima vista nel castello di San Leo, dove io sentii parlare per la prima volta in vita di mia di Cagliostro, non avevo più di sette anni, Cagliostro che rimase prigioniero in quel castello e che all’interno della sua cella scrisse le sue prime formule magiche del suo libro. E anche se Cagliostro alla fine era un imbroglione, una sorta insomma di truffatore, mi piaceva molto lo stesso. L’ho ritrovato poi da grande, e l’ho anche riscoperto, leggendo Casanova, del suo incontro con Cagliostro, e dei viaggi nella tradizione più elitaria d’Europa, a partire da Voltaire e dalla sua corte. Ricordi bellissimi, uno più bello dell’altro.
-Come arrivavate in Italia professore?
In macchina, direttamente da Vienna. Mio padre ci caricava tutti in macchina e ci sbarcava a Grado o a Gabicce, a seconda di dove aveva preso il campeggio. Ma un anno siamo stati anche a Sestri Levante ed è stato bellissimo anche quell’anno perché quell’anno mio padre ci fece prendere i primi corsi di vela, e può immaginare quanto sia stato emozionate per noi ragazzi.
-Quanti eravate in famiglia?
Papa, mamma, e una sorella, Irene. Mia sorella è Professore di oftalmologia a Philadelfia Anche lei come me è stata prima in Austria, poi in Svizzera, poi è andata in America, è rientrata in Europa ed è stata per lungo tempo in Inghilterra. Poi ha scelto come sede definitiva della sua vita Philadelfia perché ha anche sposato un medico molto bravo, uno studioso rumeno emigrato giovanissimo in America. Anche lui è professore di neurologia e lavorano insieme in un ospedale a mezz’ora dalla capitale della Pennsylvania. Quindi una scelta di vita familiare.
-Professore mi parla dei suoi genitori?
I miei genitori erano tutte e due medici. Mia mamma, era nata a Colonia, mezza tedesca e mezza austriaca, sua mamma era austriaca. Lei era medico condotto a Vienna, mio padre invece era professore di chirurgia sperimentale. Mio padre aveva una linea materna tedesca, nato a Vienna era cresciuto nella Repubblica Ceca, da una famiglia antinazista. Sono stati quindi buttati fuori dalla Cecoslovacchia, perché parlavano tedesco. Tutti quelli che parlavano tedesco, per via di un referendum popolare, anche se antinazisti venivano allora allontanati dal Paese. Così è stato anche per loro. Mio padre si è quindi ritrovato a Vienna senza niente in tasca, e mia madre è stata bombardata verso la fine della guerra in Germania. Sono stati bombardati. Loro allora avevano tre case diverse, le hanno perse tutte e tre, e alla fine della guerra non avevano più neanche un soldo per poter ricomprare qualcosa. Mia madre allora, che aveva una madre austriaca, si e trasferita in Austria e li ha incontrato e conosciuto mio padre proprio per via di un intervento chirurgico a cui doveva essere sottoposta sua madre. Erano medici entrambi e da li hanno incominciato a stare insieme. Negli anni 50 si sono poi sposati, e quindi siamo nati noi. Io nel 1956 e mia sorella nel 1958.
-Ha qualche ricordo dei suoi nonni?
Mio nonno era un chimico molto famoso.
-Direi, una famiglia importante?
Mio nonno era davvero molto famoso. Era fra l’altro un ricercatore e un giorno scopri il caucciù sintetico. Se lo cerca lo trova anche sulle enciclopedie italiane. Ha scritto anche un libro, “La tecnologia del caucciù”, che è servito molto alla grande industria della pelle, poi lui ha lavorato molto per la Bayer in Germania. Vede, più che una famiglia importante come dice lei, la nostra è una famiglia di accademici, di professori universitari che si sono fatti da soli e dal nulla.
-Figlio di due medici, posso chiederle come mai lei non ha fatto medicina all’Università?
Fino all’ultima classe del liceo ho esitato, non sapevo esattamente se scegliere medicina o matematica. Non ero certo ancora di cosa mi sarebbe piaciuto fare da grande. La matematica era la materia che mi affascinava di più. Molto più che la medicina. Le dico ancora di più, della medicina mi affascinava moltissimo la psichiatria, e quindi non è stata facile la scelta finale. Adoravo Freud, Young, Adler, avevo già letto molto di tutti questi grand psicologi. Poi però ho capito che per me matematica sarebbe stata una facoltà, e una materia, più facile da affrontare e da superare, e ho scelto matematica. Poi mi resi conto che se avessi fatto medicina avrei dovuto studiare moltissimo. Facendo invece matematica avrei avuto più tempo libero per pensare a me stesso e alla mia vita. Forse una scelta egoista, ma è andata bene lo stesso. Un po’ per pigrizia, lo riconosco, ma la verità vera è anche che volevo fare una cosa diversa da quello che avevano fatto i miei genitori.
-Immagino anche che medicina, in casa di due medici sì bravi, sarebbe stato un tormento?
Sa cosa mi ricordo perfettamente bene di quegli anni? Mio padre e mio madre, con mia sorella. “Hai fatto questo esame?”, “Sai già tutto di questa materia?”, “Serve ripetere insieme qualcosa?”. Avrei fatto la stessa fine io, non crede? Questo non toglie nulla al rapporto che io e mia sorella avevano con loro. Sono stati dei genitori fantastici e meravigliosi, molto liberali, estremamente gentili con me e mia sorella, e soprattutto molto illuminati. Erano già allora anche molto europei, mio padre soprattutto aveva questo spirito europeo che ne faceva un personaggio di grade carisma e di grande fascino non solo accademico.
-Professore, almeno una volta l’anno lei riesce a ritrovarsi con tutta la sua famiglia? Intendo dire, sorella, figli, nipoti, amici di vecchia data?
Assolutamente sì, ogni Natale.
-E c’è un luogo del ricordo dove vi ritrovate?
Naturalmente Vienna. Stiamo insieme per qualche giorno ed è una gioia immensa, perché anche mia sorella Irene ha dei figli, che vanno d’accordo con i miei, e quindi è l’occasione ideale per respirare tutti insieme aria di casa e tradizioni di famiglia. Io amo immensamente mia sorella Irene, lei altrettanto fa con me, e questo ci basta per andare avanti e per riprogrammare il nostro prossimo Natale insieme. Magari passano tanti mesi prima di rivederla, ma io so che a Natale, comunque vadano le cose, qualunque cosa accada, io la rivedrò con i suoi figli e suo marito e lei rivedrà Laura e i miei figli. Ma spesso accade anche che ci si veda in situazioni molto speciali, come per esempio il matrimonio di mio figlio. Loro dall’America sono venuti in Italia a Portofino per festeggiare con noi questa festa di famiglia.
-I suoi figli, Professore, fanno il suo stesso mestiere?
Assolutamente no. Hanno studiato tutti e due in Inghilterra. Mio figlio Leonardo ha studiato biologica molecolare a Londra fino alla Laurea magistrale e poi si è trasferito a Cambridge per il dottorato di ricerca. E poi, dopo il dottorato di ricerca si è trasferito in Svezia, dove a Stoccolma ha lavorato in un famoso istituto legato all’Università. Subito dopo si è trasferito a Zurigo dove ancora vive e lavora con successo con le grandi aziende farmaceutiche. Davvero un ragazzo straordinario, molto bravo.
-Immagino degno figlio del padre, o se preferisce del nonno?
Si sono molto fiero di lui. Oggi lui è diretto responsabile di un prodotto che va molto bene e che è diffuso in ogni parte del mondo. Sua moglie invece ha studiato farmacia, e oggi lavora come farmacista.
-E sua figlia Anita?
Anita, è stata brava anche lei. Ha fatto prima la triennale e poi la magistrale all’Università di Londra, al “UCL”, il London College di Londra, un Campus di grande prestigio. E dopo la laurea è andata a Vienna a fare il dottorato di ricerca in Scienze della Comunicazione, e oggi lavora presso un’Agenzia di ricerca e di programmazione del Sistema Sanitario Austriaco.
-Quindi sua figlia fa un lavoro diverso per il quale ha studiato così tanto?
Si è vero, fa un lavoro ben diverso dal lavoro giornalistico, o inteso come tale. Fa più un lavoro “medico”, un centro di ricerca sulla salute, dove si studiano le politiche della salute. Pensi che lei ha anche studiato antropologia come rima materia, poi ha fatto un Master in Scienze Politiche europee, e poi ha chiuso con Scienze della Comunicazione. Come vede, un panel di grande respiro sociale che oggi le permette di fare il lavoro che fa. Ma già prima il suo lavoro consisteva anche nell’esaminare e valutare decine e decine di articoli, di saggi, di report e di statistiche che si occupavano di salute pubblica. Pensi che ha chiuso uno studio avanzatissimo con il Politecnico di Milano che è un Focus sul come l’odio per gli stranieri si è trasformato in Europa, e questo poi alla fine aiuta i governi a muoversi in una certa direzione anziché in un’altra.
-Posso chiederle una cosa del tutto personale?
Mi pare che finora io le ho raccontato la parte centrale della mia vita, certo che può farlo.
-E allora, quando lei ha detto ai suoi figli “Io e mamma ce ne andiamo in Calabria”, qual è stata la loro reazione?
E’ stata la loro una reazione assolutamente normale. Loro amano molto l’Italia e quindi sanno esattamente dove saremmo andati a vivere, Così come amano molto l’Inghilterra dove abbiamo trascorso parte della nostra vita. Pensi che quando io sono andato per la prima volta a Oxford ho promesso a mia moglie che dopo cinque anni avrei lasciato e saremmo tornati in Italia. Poi invece sono diventati diciotto anni gli anni in cui sono rimasto a Oxford. Oggi la Calabria è tutta un’altra cosa. La verità è che io ho sessantasette anni, e quindi i miei figli erano perfettamente consapevoli che la mia stagione in Inghilterra era alla fine. Per loro, sarei tornato in Austria piuttosto che a Genova, o viceversa, ma avevamo messo in conto questa nuova ripartenza. Poi quando hanno scoperto che sarei venuto in Calabria hanno gioito, perché li ho invitati a venire al mare questa estate e loro non vedono l’ora di farlo.
-E sua moglie Laura invece? Dove l’ha incontrata la prima volta?
Questo di Laura è un lungo racconto. Posso fare una premessa un po’ più lunga?
-Certo che può farla Professore…
Allora parto dall’inizio. Io ho studiato matematica a Vienna, ho fatto il PCD e tutti i miei studi al Politecnico di Vienna. Ma dopo aver studiato matematica mi sono laureato in informatica. Ho fatto tutto quello che si poteva fare in matematica, ma alla fine mi sono innamorato die due pilastri della matematica, l’analisi e l’algebra. Più in generale, analisi e matematica discreta. Ma alla fine il mio grande amore è stata la matematica discreta, ma anche perché la matematica discreta è molto più congeniale al mio pensiero e al mio modo di essere. Moltissima algebra, quindi, e anche molta logica astratta, la logica formale, dentro la logica ci sono i sillogismi, la logica di Aristotele, e via di questo passo. Alla fine mi sono laureato in informatica perché ritenevo questa laurea più moderna e più avanti della matematica. Ma le dirò una cosa che non ho mai raccontato a nessuno. Avrei potuto laurearmi all’Università normale di Vienna, avrei fatto la stessa strada che poi ho fatto, ma sono andato al Politecnico perché era l’unico posto al mondo dove per laurearmi non avrei dovuto studiare astronomia, un libro infinito che non sarei mai riuscito a leggere fino in fondo. Ecco perché alla fine sono finito al Politecnico. Ho quindi fatto il dottorato al Politecnico e nel frattempo ero anche assistente all’Università. Lì avevo già un posto che mi avrebbe permesso di diventare professore di ruolo. Bastava infatti che io lì prendessi la libera docenza, che facessi gli esami di abilitazione e avrei già avuto un posto garantito e una carriera scontata. Ma non ero contento di questo. Perché in realtà ero perfettamente cosciente e consapevole che non avevo imparato molto lì dove stavo.
-Scusi professore, ma cosa c’entra tutto questo con la sua storia d’amore con Laura?
Ora ci arrivo. Dopo la laurea a Vienna e dopo tutto questo che le ho raccontato mi è venuta voglia di venire in Italia. Allora avevo incominciato ad occuparmi di basi di dati, materia questa che ha molto a che fare con la logica, perché i dati descrivono in parte uno stato del mondo. Lei immagini una serie di dati, quindi una serie di tabelle, cosa ci posso fare con queste tabelle? Semplice, mi aiutano a capire da che parte va il mondo, cosa succede nel mondo, in che direzione si muove il mondo, sono insomma dei dati logici e utili a dare risposte assolute alle domande che spesso ci poniamo.
-Professore mi scusi se glielo chiedo ancora, ma cosa centra ancora tutto questo con sua moglie?
Ci sono ecco. In quegli anni io avevo letto un articolo di un certo Ceri, Ceri con una sola “r”, del Politecnico di Milano, era un giovane ricercatore che aveva un anno più di me e che aveva scritto delle cose che mi interessavano moltissime. Sembra quasi una storia soprannaturale. Mi segua, un anno prima in un convegno all’Università di Pisa io avevo conosciuto una ragazza che era una ricercatrice e una studiosa di linguistica matematica, il suo nome era Teresa Serafini, e io avevo parlato molto con lei. Avevo anche trovato l’occasione per venire a lavorare in Italia con una grande ditta internazionale, l’Ausiliare, che allora metteva a disposizione delle Ferrovie Italiane decine e decine di vagoni su cui far circolare la merce in tutta Europa. Alla fine mi hanno proposto un contratto ben pagato, e io ho accettato. Anche perché all’Università non avevo trovato nulla di concreto.
-Quanti anni lei aveva allora?
Non più di venticinque anni. A Vienna avevo appena finito il dottorato di ricerca. Ma con quel contratto che avrei dovuto firmare da li a qualche giorno mi sarei caricato di una responsabilità pesantissima. Ero molto preoccupato, temevo di non farcela, era il mio primo lavoro importante nell’industria e sapevo che con quel lavoro mi sarei giocato il futuro. È proprio il giorno prima che io rivedessi i manager dell’impresa e accettassi o meno di firmare il contratto che mi avevamo preparato, ricevetti una telefonata di Teresa. Mi scusi, non ricordo perfettamente bene se fu lei a chiamare me o io a chiamare lei, fatto sta che ci sentimmo. E lei mi disse “Georg guarda che io mi sono adesso trasferita a Milano e ho un nuovo fidanzato che si chiama Stefano Ceri…”. Era lo stesso Ceri di cui avevo già letto tantissime cose.
-A volte il caso…
Strane coincidenze. Ne è capitata una anche a mia figlia qualche anno fa. Un giorno mi chiama Anita e mi dice, “Sai papà hai mai conosciuto uno studioso che si chiama Stefano Ceri? Fa dei lavori interessantissimi”. Calcoli che mia figlia non ha mai letto le mie cose quindi non sapeva che io lo conoscessi.
-E lei cosa gli ha risposto?
Certo che lo conosco, se vuoi lavorare con lui lo chiamo? In realtà poi Anita ha fatto anche dei lavori con lui. Incredibile non le pare? Due coincidenze cosi sono davvero al di fuori del normale. E se a questo punto lei mi chiede se sono religioso, le risponderei di no, ma spesso nella vita ci sono davvero delle storie e delle cose del tutto inspiegabili.
-Professore ora mi sono perso…torniamo al punto di partenza?
Bene lo faccio subito. Quando Teresa Serafini mi dice di essere fidanzata di Stefano Ceri le chiedo se potevo vederlo e lei me lo passa immediatamente al telefono.
-E lei professore cosa ha fatto?
Gli ho chiesto di poter lavorare con lui. Sai Stefano- ho esordito così- io sono Giorgio e ho letto le cose che hai scritto e mi sono subito molto piaciute…”. Sono cose che io amo perché le mie idee sono identiche alle tue, se avete un posto da darmi da voi al Politecnico io vengo da voi nel giorno di qualche giorno”. Lui mi ha detto di sì, e io ho chiesto al direttore del mio dipartimento a Vienna un anno sabbatico per poter andare in Italia un solo anno e poi tornare a Vienna.
-Cosa le ha risposto il suo Direttore?
Mi ha detto che non era possibile.
-E lei, Professore?
Mi sono licenziato. Immediatamente, senza neanche pensarci un momento. Sapevo che in Italia avrei imparato molto di più. Il giorno dopo ero già a Milano da Stefano Ceri. Mi sono presentato e da lì è incominciata la mia nuova avventura italiana. Mi hanno chiesto di aprire una partita IVA e hanno incominciato a pagarmi con dei soldi che una società romana doveva al Politecnico per dei lavori pregressi. Da quel momento ufficialmente ero diventato un Consulente ufficiale del Politecnico di Milano.
-Bellissima storia Professore…
Non tutto è stato bello per la verità. Erano anni difficili per chi veniva in Italia da un paese straniero, e per anni sono stato trattato in Italia come una sorta di extracomunitario, con l’obbligo di presentarmi ogni settimana in questura per il visto di soggiorno. Oggi capisco bene quali tragedie vivono ogni giorno ancora i nostri extracomunitari. Allora ho avuto mille difficoltà con il tradizionale foglio di via, perché non era concepibile allora che un extracomunitario arrivasse in Italia e aprisse, come io avevo fatto, una partita IVA. Pi alla fine per fortuna sono riuscito ad avere un regolare permesso di soggiorno. E questi sono stati i miei primi tre anni a Milano.
-Che periodo era Professore?
Erano gli anni di Craxi a Milano, ed era la Grande Milano attorno a cui ruotava il resto del mondo. Io non sto qui a dire cosa penso di Craxi e delle cose che ha fatto, nel bene e nel male, ma posso solo dire che Craxi è stato un leder che sapeva guarda in avanti e che ha fatto molto perché il Paese che lui guidava progredisse e seguisse le strategie più innovative del momento.
-Cosa ricorda in particolare di quella sua esperienza?
Il mio primo viaggio a Trezzano sul Naviglio, andai a visitare i lavoratori della Olivetti e ricordo che io per la Olivetti realizzai un data base che fu poi giudicato rivoluzionario e innovativo per le sorti dell’azienda milanese. Ricordo che per quel lavoro guadagnai non solo l’ammirazione dei vertici della Olivetti, ma anche un contratto ben remunerato e abbastanza ricco per me e per quei tempi. Non solo, ma questo mi permetteva di sperimentare delle cose in laboratorio, e poi di insegnare quello che avevo provato e sperimentato direttamente al Politecnico il giorno dopo. Meravigliosa esperienza.
-Professore, ma non mi ha detto ancora dove ha conosciuto sua moglie?
L’ho conosciuta a Milano e poi siccome lei era di Genova l’ho poi seguita a Genova. Ho trovato un posto di lavoro al CNR, all’ Istituto della Matematica Applicata di Genova, e da lì poi è storia che lei conosce già.
-Professore, ma le ho chiesto di sua moglie?
Già, mia moglie. Allora le racconto del mio primo ferragosto in Italia. Era il 15 agosto e io pensavo quella mattina di andare a lavorare. E invece scopro che a ferragosto in Italia il mondo si ferma. Tutto chiuso, non soli il Politecnico, non solo il CNR, non solo la mia vecchia azienda di origine, ma si ferma anche l’aria il giorno di ferragosto in Italia. Io venivo da un Paese dove tutto questo allora non accadeva, Ferragosto per noi austriaci era un giorno come un altro, e invece qui da voi il fermo totale. Allora quel giorno ho detto a me stesso “Questo è il momento ideale e giusto per andare a Vienna e far visita ai miei genitori”.
-È quindi tornato a casa?
Assolutamente sì, dopo aver avvertito del mio arrivo la mia famiglia e i miei amici. E appena arrivato a Vienna il mio più caro amico austriaco che avevo avvertito il giorno prima mi chiama al telefono e mi dice “Sai oggi ho incontrato due ragazze italiane, molto simpatiche, una delle due anche molto bella, e mi hanno chiesto dove fosse la Cripta dei Cappuccini”. Praticamente una delle due, Laura, che è poi diventata mia moglie aveva letto un libro su questa Cripta e voleva a tutti i costi andarla a visitarla e a conoscerla. Come grande appassionata d’arte mia moglie aveva chiesto a questo mio amico di poter visitare anche i luoghi imperiali di Vienna e gli angoli più suggestivi della città.
-Professore ma com’è finita?
È finita che la sera siamo andate a cercarle, ci siamo dati appuntamento in un locale e li è scoccata la scintilla.
-Si ricorda che locale era?
Era il famoso “Heurigen”, un locale molto simile ai locali che avete attorno a Roma, ai castelli, dove servono il vino novello e dove si suona tanta musica bella. È stata una notte bellissima. Il mio amico naturalmente si è poi messo con l’amica di Laura e per farle impazzire le abbiamo portate a spasso per giorni nei villaggi attorno a Vienna, che sono il non plus ultra della tradizione austriaca e del calore viennese. È difficile che tu porti una donna in quei posti e non ti cada tra le braccia. Voi in Italia avete una musica molto bella, ma la musica viennese è tutt’altra cosa ancora, e quelle sere abbiamo ballato e cantato insieme per ore intere. Come faccio a dimenticarlo?
-Insomma, per il grande Georg Gottlob è stato amore a prima vista?
Assolutamente sì. Decisamente più bello che un amore a prima vista. E oggi sono 40 anni che stiamo insieme. L’anno dopo il nostro incontro a Vienna ci siamo sposati.
-Matrimonio italiano Professore?
Il mio sogno sarebbe stato un matrimonio tutto italiano, al mare, sotto un tendone con di fronte il mare e l’orchestra, e tanti violini insieme, ma Laura non era del tutto convinta a fare quel passo, e quindi abbiamo rinunciato alla festa che io sognavo di vivere. Poi però per fortuna è andato tutto meravigliosamente bene.
-La cosa più bella di quel periodo a Genova Professore?
La stazione di Nervi?
-Perché la stazione di Nervi?
Perché io arrivavo a Genova ogni fine settimana da Milano, e prima di arrivare a Genova passavo da Pavia, il tutto avvolto dalla nebbia e dalla poggia, e poi dopo l’ultima galleria vedi la luce, il sole, il mare e finalmente la stazione di Nervi che credo sia uno dei posti più belli del mondo.
-Chi le dà ancora oggi tutta questa forza di credere nel futuro e tutto questo entusiasmo?
Mia moglie Laura certamente, e poi il mio cagnolino che una mattina abbiamo trovato per caso in un canile, salvandolo da una morte certa. Oggi lui ama il mare di Paola e il sole della Calabria più di quanto non accada e me e a Laura.
(Pino Nano)
“E’ stato l’uomo della mia vita”
di Laura Carlotta Gottlob
La Calabria non è il primo “salto” della nostra vita insieme.
Nel 2006 lo abbiamo fatto a Oxford partendo dall’Austria in quattro, con i nostri due figli Anita e Leo.
Nel 1988 lo abbiamo fatto a Vienna dall’Italia, dopo la nascita del nostro primo figlio, Leo.
Quando sono andata la prima volta a Vienna, spinta dalla lettura di un romanzo di Joseph Roth, “La cripta dei cappuccini”, che racconta il tramonto dell’impero austroungarico, ci ho trovato due tesori: uno è mio marito Georg, l’altro sono i musei d’arte contemporanea che in quegli anni scarseggiavano in Italia.
Lui mi ha colpito subito per i suoi modi autentici e eleganti, per la raffica di domande che mi ha fatto (anticipata di quarant’anni quella sulla pensione), per la sua simpatia e la sua profonda capacità intellettuale.
Ma mi ha colpito molto il suo coraggio.
Pochi mesi prima aveva lasciato il suo posto di assistente al Politecnico di Vienna per quello di Milano con un contratto provvisorio, una borsa dj studio.
Ci siamo sposati un anno dopo, io facendo un po’ di storie dato che il suo passeggiare avanti e indietro pensando ai teoremi matematici e invadendo tutti i luoghi della casa lo ritenevo una follia.
Abitudine mai cessata nel tempo…
Sono sempre stata fedele all’idea che i suoi teoremi avrebbero funzionato, e sarebbero serviti a qualcosa.
Nelle professioni ci siamo sostenuti sempre, io in tutti i suoi progetti scientifici intrapresi e lui nel mio lavoro artistico e di insegnamento.
Quando ho vinto un concorso per insegnare all’estero, la sede era Zurigo, lui non ha esitato ad appoggiare la mia scelta che significava anni di sacrificio, dovendo vivere in due paesi diversi, i nostri figli con me, nostra figlia Anita di appena un anno.
Anche loro, i nostri figli, hanno contribuito alla nostra crescita, sempre bravi negli studi, ci hanno dato molte soddisfazioni. Hanno presto capito che la vocazione scientifica del padre, ardua da condividere nella vita quotidiana, dava loro modo di costruire un rapporto di qualità, oltreché d’amore e di affiatamento. E di avere una vita piena e piena di spunti. (Laura Carlotta Gottlob)