Mattarella incontra le vincitrici del Premio Bellisario.
Pino Nano
Tradizione rispettata anche quest’anno. Il Capo dello Stato Sergio Mattarella riceve al Quirinale le vincitrici del Premio Marisa Bellisario. Per la “pasionaria” Lella Golfo è l’ennesima vittoria al servizio delle donne.
Trentaseiesima Edizione del Premio Bellisario. Impeccabile, elegantissima, istituzionale quanto mai. Lella Golfo sale al Quirinale per presentare al Presidente della Repubblica le vincitrici del Premio Marisa Bellisario 2024. Anche quest’anno sono un pool di donne di altissimo prestigio professionale, scelte in tutta Italia dalla Commissione del Premio Bellisario, e che ha come suo Presidente l’ex Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei Ministri del Governo Berlusconi Gianni Letta.
E’ l’occasione ideale per scambiare qualche battuta con il Capo dello Stato e non solo sulla storia del Premio, o sulla Fondazione Marisa Bellisario, e sui successi conseguiti negli anni da questo manipolo di donne in carriera, ma anche per ricordare le sue origini, che sono tutte calabresi, lei Lella Golfo che della Fondazione Bellisario è visione anima e corpo , lei che partita da Bocale di Reggio Calabria, oggi rappresenta per il mondo femminile italiano e internazionale una sorta di icona vivente del successo femminile. Quello vero.
“Celebrare la 36ª edizione del premio in una delle Sette Meraviglie del mondo moderno – dice Lella Golfo– è già una consacrazione del talento femminile. Tra le mele d’oro 2024 ci sono donne che hanno raggiunto primati o risultati fino a poco tempo fa impensabili, leader affermate e ragazze che hanno studiato per conquistare un posto nel mondo. Le loro storie ci raccontano l’Italia che vogliamo, che immaginiamo e che ci impegniamo a costruire: un Paese che torna a credere e investire nel futuro. Siamo orgogliose -dice ancora Lella Golfo al Presidente Mattarella– di presentarle le nostre Mele d’Oro 2024, manager, imprenditrici, giornaliste, scienziate, attrici. Donne che si sono distinte per impegno e determinazione raggiungendo risultati impensabili e costruendo un’Italia ogni giorno migliore. Ormai, sono più di 600 le Mele d’Oro e ogni anno è sempre più difficile selezionare le migliori tante sono oramai le eccellenze femminili che, con talento, coraggio e determinazione ci indicano la strada per la parità”.
Lella Golfo, questa “pasionaria” calabrese d’altri tempi, che sembra non dover invecchiare mai, e a cui il Paese deve immensa riconoscenza per le sue infinite battaglie al servizio e nell’interesse delle donne della Repubblica oggi riceve qui, sul Colle del Quirinale, il riconoscimento ufficiale forse più solenne per il suo ruolo e la sua infinita passione civile.
“Non è così scontato – ripete più volte il Presidente della Commissione del Premio Bellisario Gianni Letta – che alle donne vengano riconosciute bravura, competenza e quel ‘talento per la vita’ che da sempre appartiene al sesso femminile. Ed è merito della Fondazione Marisa Bellisario, invece, dare risonanza a personalità che con i loro volti e le loro storie documentano la potenza positiva delle donne e il contributo determinante alla crescita economica e morale dell’intera nazione. Per questo sono orgoglioso di presiedere la Commissione esaminatrice del Premio e ringrazio tutti i membri che condividono con noi l’annoso compito di selezionare le ‘migliori’ in un novero di eccellenze femminili ogni anno più nutrito”.
Durante l’incontro con le vincitrici del Premio, il Presidente Mattarella sottolinea come la crescente partecipazione delle donne in vari settori – dalla magistratura al giornalismo, dall’economia alle attività scientifiche – stia migliorando il Paese, e che gli uomini devono essere grati per questo progresso, riconoscendo il bisogno del contributo femminile in modo assolutamente paritario, “Anche se però molto resta ancora da fare”.
Veniamo alle vincitrici di quest’anno. Istituzioni: Margherita Cassano, la prima presidente della Corte di Cassazione. Informazione: Giovanna Botteri, inviata e corrispondente italiana all’estero. Imprenditoria: Cristina Zucchetti, presidente Zucchetti Group. Management: Elena Goitini, amministratore delegato BNL e responsabile BNP Paribas per l’Italia. Giustizia: Francesca Nanni, prima donna procuratore Generale della Corte d’Appello di Milano. Arte e cultura: Alfonsina Russo, prima direttrice del Parco Archeologico del Colosseo. Religione: Suor Raffaella Petrini, prima a ricoprire il ruolo di Segretario Generale del Governatorato della Città del Vaticano Spettacolo: l’attrice Margherita Buy. Germoglio d’Oro: Federica Brignone, sciatrice italiana più vincente di sempre in Coppa del Mondo. Internazionale: Anna Grassellino, direttrice del Centro SQMS (Superconducting Quantum Materials and Systems) del Fermilab di Chicago
Ingegneria Elettrica, Meccanica e Informatica sono invece i corsi di studio individuati dalla Commissione esaminatrice per concorrere all’assegnazione della Mela d’Oro 2024 a tre brillanti neolaureate. Sono oltre quaranta gli Atenei italiani coinvolti -ricorda Lella Golfo- e tre le grandi partner – Terna, Trenitalia e Isybank – associate al rigoroso processo di selezione che ha portato infine alla proclamazione di Beatrice Vincenzi, Chiara Monacchini e Veronica Grosso.
Bocale For Ever
Solenne cerimonia, nei giorni scorsi in Quirinale, dove il Presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha incontrato le vincitrici della XXXIII edizione del Premio Marisa Bellisario, accompagnate dalla Presidente della Fondazione, Lella Golfo, “pasionaria” calabrese, origini reggine, protagonista di grande carisma, intellettuale innovativa indipendente e libera come nessun altro avrebbe saputo esserlo, un passato politico importante nel cuore della sinistra italiana, prima comunista poi socialista, amica personale degli uomini che più hanno più contato nella storia della Repubblica, carattere granitico, donna di grande coraggio civile, carattere forte come la roccia anche nei momenti più difficili della sua vita, capace ancora di sognare e di sperare per la gente della sua terra di origine.
-Lella Golfo: non c’è occasione pubblica, o anche privata, in cui lei non trovi il modo per parlare della sua Calabria. Dovunque le capiti di andare, non fa altro che raccontare della sua terra e della sua gente. Soprattutto di Bocale, che è il suo paese di origine. “Bocale per sempre”, ci pare di capire?
“La verità è che amo profondamente la vita di quel paesino di duemila anime, alle porte di Reggio Calabria, che si snoda sulla statale 106. La chiesa di San Cosma e Damiano e la modernissima farmacia del dottor Pellicanò: quando entri sembra di essere sulla Quinta Strada, a New York. Nel tardo pomeriggio ci trovi tutti, si sta lì a parlare, si fanno campagne elettorali, si discute animatamente su chi merita la vittoria, ma soprattutto, si parla di pesca. «Sei uscito in barca? Quanti pesci hai preso? Ma che esca hai usato?» Ed è tutto un parlottare a mezza bocca: i pescatori sono gelosi dei loro segreti”.
-Da dove parte la sua storia di donna “guerriera”?
“Parte prima di tutto da Bocale. E poi dalla mia curiosità, dalla sete di conoscere, dal bisogno di vedere mondi lontani, dal desiderio di vivere esperienze distanti anni luce dalla realtà di un piccolo paese del Sud come il mio.
-Ha fatto tutto da sola?
“Coma avrei potuto? Tutto quello che è la mia vita è merito esclusivo dei miei genitori. Erano persone impegnate nel sociale e in politica in un tempo in cui la società era essenzialmente rurale e dominava un grande oscurantismo culturale. In realtà, sono stati loro i miei occhi sul mondo,anche in modo estremamente diverso tra loro”.
-Nel suo libro “Ad alta quota”, edito dalla Marsilio, lei racconta di essere cresciuta a pane e comunismo?
“E’ il meno che io possa dire. Antonio Gramsci, Giuseppe Di Vittorio, Palmiro Togliatti ed Enrico Berlinguer sono stati i padri nobili del comunismo italiano ma anche i miei padri putativi”.
-In che senso?
“Ho imparato il nome di Togliatti, “il Migliore”, fin dai primissimi anni dell’infanzia, tante erano le volte in cui sentivo ripeterlo. Mio padre ha sempre vissuto l’ideologia
comunista con grande trasporto e dedizione, un pò come una malattia. Ci credeva fortemente e riteneva importante formare noi figli in nome dei suoi ideali”.
-A cosa lega oggi il successo della sua vita?
“Io sono stata molto fortunata rispetto alle mie coetanee, perché mio padre e mia madre, lui don Nino e lei donna Rosina, mi hanno dato le chiavi del mondo, incoraggiandomi a studiare, a capire, a viaggiare. Poi, come spesso accade nella vita, i ruoli si sono invertiti e io sono diventata i loro occhi sul mondo. Ed è stato così fino alla fine”.
-Eppure suo padre, nel suo libro lei lo ricorda continuamente, non amava viaggiare?
“Mio padre era più tradizionalista di mia madre. Amava stare in paese ed era restio a varcare i confini della Calabria. Pensa che è morto con il rimpianto di non aver mai visitato la «sua» Unione Sovietica. Aveva paura dell’aereo. Però è stato lui ad aprire i miei orizzonti mentali e ideologici, a formare il mio pensiero inculcandomi valori e principi di grande onestà. Attraverso quel suo credo profondo nell’ideologia ho potuto costruire le mie idee e anche diventare profondamente critica verso quella che era la sua «religione»”.
-Cosa le ha lasciato, lui, di fondamentale per il suo futuro?
“Il suo esempio, la sua passione incondizionata,la sua forza ideologica. Ho imparato da lui, e solo da lui, a capire che l’ideologia era qualcosa per cui valeva davvero la pena di combattere. Sempre e comunque. Poteva diventare una ragione di vita, anche per me. E così è stato”.
-Alla fine è morto “comunista”?
“Non poteva essere altrimenti. Sono convinta che se avesse potuto sperimentare come ho fatto io l’assenza di libertà e il totalitarismo opprimente dei regimi dell’Est, avrebbe visto progressivamente vacillare le proprie convinzioni. Mio padre era un uomo profondamente giusto. La sua,vedi, era la fede sincera di un cuore ingenuo. Ed era leale. Avrebbe dato la vita per difendere le proprie idee. Mi diceva sempre: “Lella, ricordati sempre che io non sono un traditore, voglio morire da comunista”. Era la frase con cui concludeva le nostre animate discussioni di politica, quelle in cui al centro c’era il mio impegno nel Partito socialista”.
-Da vecchio comunista immagino criticasse molto Craxi a cui lei era invece molto legata?
“L’ho scritto nel mio libro, dove ricordo la vigilia di Natale del 1994: i miei genitori erano a Roma, a casa mia, e verso le 14 arrivò Nicola, il fidato autista di Craxi, che doveva consegnarmi un dono da parte di Bettino, già in esilio ad Hammamet. Aprimmo il pacco con emozione e sorpresa. Era una cartella di acquerelli disegnati e firmati dallo stesso Bettino, intitolati “Bugiardi ed extraterrestri”. Vuole sapere quale fu il commento di mio padre? Mi disse: “Sono stati spietati con lui, non meritava di essere trattato come un delinquente. Ha fatto tanto per il nostro Paese e ora tutti sembrano essersi dimenticati di Sigonella”. Questo era mio padre. Un uomo che concedeva l’onore delle armi, che non aveva nemici ma avversari. Craxi era sì un socialista ma anche un politico che per le sue idee aveva dato tutto e per le sue idee sarebbe morto. Un uomo così per mio padre era degno di rispetto”.
E’ tutto questo ed altro ancora Lella Golfo, e la sua vita, con tutto quello che ha realizzato, è un vero e proprio inno alle donne manager che con il proprio impegno hanno segnato la storia del nostro Paese.
Partiamo dalla Fondazione Marisa Bellisario, che non è altro che Lella Golfo, una intuizione tutta sua, ma soprattutto una creatura e uno strumento di lotta politica al servizio delle donne italiane, nessuna esclusa.
Nata, ricordiamo, nel 1989 oggi la Fondazione è un network di energie e competenze, una lobby del merito, una rete di dialogo e confronto, un gruppo solidale e unito, che condivide attività e iniziative per costruire un Paese a misura di donne e di crescita. “L’obiettivo -ripete anche in ogni occasione Lella Golfo- è sostenere le donne nella loro vita professionale e personale, valorizzarne il merito e il talento, favorire le carriere al femminile, sensibilizzare l’opinione pubblica, le istituzioni e l’economia al raggiungimento di condizioni di reale pari opportunità”.
Insomma, almeno all’inizio, era una vera e propria sfida culturale al resto del Paese.
Uscendo dal Quirinale, Lella Golfo è raggiante.
“Sono quasi 600- dice -le donne che nel corso degli ultimi 33 anni hanno ricevuto quello che è diventato l’Oscar delle donne. Migliaia di manager, imprenditrici, professioniste, ricercatrici, giornaliste, attrici, stiliste e persino un’astronauta: un serbatoio femminile di energie e idee che l’Italia e il mondo possono e devono valorizzare per una crescita sostenibile. E il riconoscimento, la “Mela d’Oro” -ricorda ancora Lella Golfo- premia le donne che si sono distinte nella professione, nel management, nella scienza, nell’economia, nel sociale, nella cultura e nell’informazione, nello spettacolo e nello sport, sia a livello nazionale che internazionale”.
In realtà il Premio Bellisario è ormai parte integrante della vita, della cultura e della tradizione del nostro tempo e del nostro Paese,un riconoscimento al talento delle donne, un contributo alla crescita sociale dell’Italia e soprattutto alla lotta contro la disparità di genere. Un Premio che sembra fatto su immagine di Lella Golfo, nato quasi per caso dopo la morte di Marisa Bellisario.
“Una donna, una storia, un esempio-dice Lella Golfo- Marisa Bellisario rappresenta la sfida e la vittoria della parità di genere, il riscatto delle donne e l’impegno costante e instancabile verso un nuovo approccio culturale. Prima la presidenza della Olivetti Corporation of America, poi le redini dell’Italtel dove, da Amministratore Delegato, nonché prima donna alla guida di un’azienda pubblica, Marisa Bellisario compie scelte coraggiose e lungimiranti, avvia progetti innovativi. Un successo indiscusso che la consegna ai manuali di economia come esempio di ristrutturazione di un’azienda pubblica e le fa guadagnare, nell’86, il Premio di manager dell’anno.
-Lella Golfo torna ancora in Calabria, e soprattutto a Bocale?
“Non ho mai abbandonato la casa dove sono cresciuta e trascorro da sempre le vacanze in questo piccolo regno. Nelle sere d’estate come queste sembra di poter toccare la Sicilia: si vedono nitide le luci delle automobili che da Messina a Taormina scorrono veloci e i fuochi d’artificio delle feste di paese che i bambini si fermano a contemplare”.
-Qual è la cosa che più le manca di Bocale?
“Mi manca il mare, il mio mare.Ho girato il mondo, conosciuto i mari incontaminati delle Maldive, Seychelles, Mauritius, fino all’isola di Phuket, ma il mare dolcemente gelido di Bocale con i suoi colori cangianti e la trasparenza di un diamante rimane per me ineguagliabile”.
-Qual è il ricordo più bello che conserva dei suoi anni a Bocale?
“Non ci crederà, ma il momento di più grande felicità per noi bambini era quando mio padre ci caricava sulla canna della bicicletta e insieme ci incamminavamo verso la minuscola sala di proiezione di Pellaro gestita dalle suore. Andavamo al cinema”.
-Che infanzia è stata quella di Lella Golfo?
“Un’infanzia serena, salvo per un’unica, grave catastrofe, l’alluvione di Reggio Calabria nell’autunno del 1953. In quella terribile notte del 23 dicembre la furia dell’acqua portò via tutto. A San Gregorio, il paese di mia nonna, il crollo delle abitazioni causò undici vittime. In tutta la Calabria le piogge torrenziali provocarono frane, interruzioni stradali e ferroviarie, telegrafiche e telefoniche, numerosissime vittime e centinaia di feriti. Fu il primo scontro con la realtà e il primo incontro con il dolore”.
-Quale dolore?
“L’acqua di quella notte, insieme alle cose che faticosamente avremmo ricostruito, agli oggetti che avremmo ricomprato, portò via anche la vita. Persi mio zio e mia nonna”.
-Una tragedia familiare?
“Oggi diremmo, una tragedia preannunciata.Mia nonna e mio zio tornarono indietro per mettere in salvo sul bancone i sacchi di riso e pasta. Non ce la fecero e furono travolti dall’acqua che nel frattempo aveva esondato dal torrente di Sant’Agata, la grande fiumara che parte dall’Aspromonte e sfocia proprio vicino a San Gregorio. Quella notte la morte entrò nella mia esistenza, con violenza e all’improvviso.Da allora niente fu come prima, senza la nonna che mi amava e viziava, riempiendo l’armadio di quei vestitini «impossibili» che adoravo! Per mia madre è stata una sofferenza che non ha mai avuto fine”.
-Ma anche il suo matrimonio è stato motivo di tristezza per la famiglia?
“La mia militanza nella fgci, le esperienze di ex giovane comunista erano un «peccato originale» difficile da scrollarsi di dosso. Sembrano storie d’altri tempi ma la verità è che il parroco di Bocale si rifiutò categoricamente di sposarci in chiesa. Una tale rigidità fu una sorpresa anche per noi. Disse a mia madre che non ero degna di ricevere quel sacramento perché la mia era una famiglia di comunisti, «addirittura sua figlia è stata in Romania», furono le sue parole per giustificare un rifiuto senza appello. Mia madre lo guardò senza tradire alcuna emozione. «La Chiesa perdona, ammesso che mia figlia abbia commesso un peccato», si limitò a rispondere con la sua solita compostezza”.
-Come finì alla fine?
“Che girammo le spalle al prete e ce ne andammo. Ma io pensavo con preoccupazione alla reazione dei cattolicissimi familiari di Pippo, che avrei dovuto sposare. L’unica soluzione era il rito civile. Oggi sarebbe normalissimo, ma allora, ero probabilmente la prima donna di Reggio Calabria a sposarsi con il rito civile. Si trattò di una scelta coraggiosa e sofferta, ma la piccola rivincita fu di farci sposare dal sindaco socialista di Sant’Eufemia d’Aspromonte, un nostro caro amico”.
-Lella ci racconta di sua madre?
“Mia madre era una donna concreta, forte, coraggiosa, generosa, passionale. Aveva
una personalità prorompente e non si arrendeva di fronte a nulla: ogni ostacolo era per lei una sfida, un muro che prima o poi avrebbe abbattuto con la forza della sua
caparbietà. Ricordo che io ero ancora molto piccola e la nostra vicina, una povera vedova senza soldi e con tre figli, si era gravemente ammalata. A quei tempi, specialmente al Sud, si moriva facilmente. In ospedale non si faceva in tempo ad arrivare e quando si arrivava non sempre c’era una struttura efficiente. I familiari della vedova avevano già chiamato il prete e quando mia madre lo vide, lo affrontò di petto. «Questa povera donna non ha bisogno dell’estrema unzione ma di essere curata in un ospedale che noi non abbiamo», disse con tono deciso e fissandolo negli occhi”.
-E come andò a finire?
“In poche ore mia madre trovò i soldi necessari per un’ambulanza e senza esitazioni fece ricoverare la vedova al Cardarelli di Napoli. Aveva ragione le. Per la nostra vicina non era ancora arrivato il momento di lasciare tre figli orfani e la cocciutaggine di mia madre l’aveva salvata. Questa era donna Rosina!”
-Ma era una donna che amava anche molto viaggiare?
“Mia madre ha rappresentato per tutti noi un occhio sul mondo in un senso più ampio, anche e soprattutto per quella modernità che la rendeva unica per quei tempi. Mentre le donne in Calabria allora faticavano quasi a uscire di casa, lei aveva già il passaporto, ancora li conservo i suoi passaporti, e andava in giro per il mondo.Non lo immagineresti mai, ma mio padre ha visto le roccaforti di quel comunismo che predicava con tanta enfasi solo attraverso i suoi racconti di viaggio. Mosca, San Pietroburgo, in Polonia, nella ex Cecoslovacchia”.
-Da quello che scrive traspare dalla sua vita un forte “senso della famiglia”?
“Mia madre vedeva in me la sua stessa determinazione e mi diceva spesso che ero io il figlio maschio. Ma come era stato per mio padre nei suoi confronti, anche i miei fratelli non si sono mai sentiti sminuiti da questa mia forza, anzi. Siamo molto uniti, abbiamo sempre condiviso tutto, nel bene e nel male, e la lontananza non ha cambiato niente”.
-Eppure la sua vita l’ha portata alla fine molto lontano da Bocale…
“In famiglia abbiamo vite diverse, ma ognuno di noi ha reso partecipe gli altri delle decisioni più importanti. Ci siamo sostenuti a vicenda, senza mai giudicare. È proprio nei momenti difficili che siamo ancora più uniti”.
Classe 1941, giornalista, meridionalista convinta, Commendatore e Cavaliere della Repubblica, per una fase della sua vita anche parlamentare eletta nel 2008 nelle file del PDL, la vita di Lella Golfo è una storia esclusiva d’impegno sociale per il Sud e per le donne. La sua biografia ufficiale dice che Lella era ancora “appena una ragazza” quando si batteva con determinazione per sostenere e difendere i diritti delle “gelsominaie” della zona Jonica e delle “raccoglitrici di olive” nella Piana di Gioia Tauro”. Approdata a Roma, con un gruppo di donne, inventandosi una forma di autofinanziamento per creare iniziative ad hoc finalizzate alla promozione delle donne, nel 1982 costituisce l’Associazione culturale “Buongiorno Primavera” e inizia la sua marcia ufficiale di attivismo culturale, politico, sociale dedicato alle donne, alle loro problematiche e aspirazioni. Colpita dalla figura di Marisa Bellisario, allora Amministratore Delegato dell’Italtel e prima manager di successo che il nostro Paese ricordi, nell’89, a un anno dalla sua scomparsa, decide di dar vita a un Premio in sua memoria. Nasce così il Premio Marisa Bellisario e due anni dopo la Fondazione Marisa Bellisario. Riconosciuta ufficialmente come Ente morale nel 1996, dal 2005 la Fondazione è anche una ONG riconosciuta con decreto dal Ministero degli Affari Esteri.
Dopo quasi trent’anni di impegno quotidiano e di lavoro faticosissimo – celebrati con due diverse Mostre al Vittoriano di Roma e a Palazzo Reale a Milano- la Fondazione Marisa Bellisario rappresenta oggi un indiscutibile punto di riferimento sia per le donne che hanno già dimostrato “sul campo” le proprie capacità e competenze, sia per coloro che si affacciano nel mondo del lavoro.
-Lella, qual è stata la sua prima vera esperienza politica importante?
“Senza dubbio, la prima, grande esperienza della mia vita fu il Festival mondiale della gioventù di Vienna, organizzato dai movimenti giovanili socialisti e comunisti di tutto il mondo. Era l’estate del 1959 e nell’accompagnarmi alla stazione di Reggio, verso quell’esperienza indimenticabile, mio padre continuava a ripetermi con tono categorico: «Se sei l’unica ragazza torni a casa, con me». Ovviamente ero l’unica ragazza e sono partita ugualmente. Ricorderò sempre il viaggio lunghissimo in treno: da Reggio a Venezia, attraverso le Alpi verso l’Austria”.
-Lei racconta sempre del suo primo viaggio in Romania…
“Tutto è cominciato con un viaggio premio offerto dal Comitato centrale della fgci a un gruppo di giovani selezionati per il loro attivismo, e tra questi c’ero anch’io. Avevo l’opportunità d’immergermi nella Romania di Ceausescu, la patria di un comunismo al potere”.
-E’ vero che rimase profondamente delusa da quel viaggio?
“L’Est tante volte immaginato e idealizzato si rivelò la più cocente delle mie delusioni. Quello che per me e i miei coetanei rappresentava il simbolo e il baluardo della giustizia e solidarietà sociale, e soprattutto della partecipazione diretta del popolo alla gestione della cosa pubblica, era in realtà semplicemente una prigione”.
-In che senso?
“Nessun ideale poteva giustificare quell’assenza di libertà che toccavo con mano. Nessun valore egualitario, nessun buon principio poteva originare quel clima di oppressione che balzava agli occhi. Fu il primo tradimento della mia vita. Ed ero io a essere stata tradita dal comunismo”.
-Ad un certo punto una suora diventa punto di riferimento importante della sua vita?
“Una suora davvero molto speciale. Era il marzo del 1998, mia madre era morta da meno di un mese e noi preparavamo la decima edizione del Premio Bellisario.Avevamo deciso che fossi io a consegnare la Mela d’Oro nella mani di suor Nancy Pereira, il «banchiere dei poveri», unico sostegno per i dimenticati di Bangalore.Ci trovavamo a Roma sul palco di Confindustria, allora presieduta da Giorgio Fossa. Ero emozionata ma suor Nancy mi ha guardata negli occhi, ha letto la mia sofferenza e, senza proferire parola, mi ha stretta in un abbraccio amorevole, mi ha sorriso e ha sussurrato «coraggio». È stato come immergermi nell’abbraccio di mia madre, una sensazione di serenità infinita: come ritrovare la pace e allo stesso tempo la forza per proseguire il cammino”.
-Ma quale è stato invece l’incontro fatale della sua vita? Intendo dire quello che poi le ha permesso di fare politica da protagonista a livello nazionale?
“Senza dubbio quello con Giacomo Mancini. Stavo andando in treno a Reggio per le vacanze natalizie. Su quel rapido Roma-Reggio c’era Giacomo Mancini, allora Ministro dei lavori pubblici, uno degli uomini più potenti del Paese. Per cinque ore, seduto di fronte a me, s’informò della mia vita romana e io non mi feci scappare l’occasione per farmi conoscere da quell’uomo che ammiravo come Lella Golfo e non semplicemente come la moglie di Pippo Spinella,importante dirigente socialista. Dopo i primi attimi, l’emozione e la preoccupazione di far emergere la mia personalità mi abbandonarono e mi lasciai andare, come se stessi lì a raccontare di me a mio padre. Mancini mi ascoltava, parlava poco e mi osservava interessato e a tratti divertito. Aveva un grande intuito, era capace di andare al cuore delle persone, percepirne le potenzialità. Mi disse, di “farmi sentire” al mio rientro. Compresi subito che sarebbe stata la mia grande occasione”.
-Fu davvero così?
“Una volta a tornata a Roma, mi feci sentire, e Mancini mi propose di collaborare con lui. Per me iniziò un periodo importantissimo, una palestra umana e professionale che mi segnò nel profondo. Da lui imparai cosa significasse realmente la militanza politica e a lui devo il mio impegno successivo nel psi. Senza quell’esperienza non so se la mia vita avrebbe preso una piega diversa. Anche perché in un periodo molto difficile per me la sua fiducia fu una vera e propria iniezione di autostima. Capivo che era un’occasione unica, sentivo addosso una grande responsabilità”.
-Che giudizio politico si sente di dare oggi di lui?
“Mancini fu un grande innovatore, un leader pragmatico ed efficiente che alle parole faceva seguire i fatti. Il vaccino di Sabin contro la poliomelite era stato autorizzato nel 1962 e appena diventato ministro della Sanità nel 1963 Mancini lo rese obbligatorio e gratuito. Ma soprattutto ebbe il grandissimo merito di guardare alla Calabria e al Mezzogiorno come a una grande risorsa per il Paese. Era stato l’artefice della legge-ponte sull’urbanistica e con la sua commissione d’inchiesta sul dramma della frana di Agrigento aveva acceso i fari sullo sviluppo del Mezzogiorno. Inoltre aveva dato inizio ai lavori della Salerno-Reggio Calabria e si era battuto perché avessimo l’università in Calabria. Non va nemmeno dimenticato che fu il primo a parlare della possibilità di costruire il ponte sullo Stretto di Messina. Era orgoglioso della sua regione e i calabresi vedevano in lui un politico pronto a battersi per loro: non per gli interessi spiccioli ma per grandi opere capaci di dare lavoro e benessere ai tanti giovani che considerava artefici di una rinascita possibile”.
C’è un libro -bellissimo, intenso, romantico e quanto mai avvolgente- che Lella Golfo ha scritto in questi anni, dal titolo “Ad Alta Quota. Storia di una donna libera” (Marsilio Editore, con la prefazione di Antonio Catricalà), e in cui la Presidente della Fondazione Bellisario ripercorre tutte le tappe della sua vita:dall’impegno per le donne in Calabria e poi a Roma, al matrimonio, il figlio – “l’amore della mia vita” –, il sofferto divorzio – “tra i primi in Calabria” –, la politica attiva, l’amicizia mai rinnegata con Bettino Craxi, la caparbietà nel creare e portare avanti la Fondazione intitolata a Marisa Bellisario, l’impegno all’estero e in patria, l’ingresso in Parlamento nel 2008 fino alla più importante “affirmative action” mai applicata in Italia. Il Corriere della Sera la include addirittura tra le “venticinque personalità che hanno apportato un contributo significativo in Europa nel 2012”, mentre al vertice di Davos Viviane Reding sottolinea l’importanza della legge sulle quote rosa che porta appunto il nome di Legga Golfo. E’ la famosa legge 120 che entra in vigore il 12 agosto 2012. Nel febbraio del 2012 viene poi varato il regolamento governativo che ne regola l’applicazione alle società controllate dalla Pubblica Amministrazione. Per le donne italiane è il passaporto per accedere ai board dei consigli di amministrazione da cui per anni erano rimasta escluse e tenute lontane.
-Lella, lei nel 2008 lei diventa anche deputato. Che esperienza è stata?
“Da deputata ho imparato tanto, ma ho anche dato senza riserve, senza mai tirarmi indietro, impegnandomi per battaglie importanti. Penso alla legge sullo stalking o quella che, riformando il diritto di famiglia, ha finalmente sancito l’equiparazione dello status dei figli, o, ancora, quella che ha introdotto la parità di genere negli enti locali. Ho lavorato senza mai fermarmi, e forse proprio per questo non sono riuscita a godere pienamente delle vittorie raggiunte. Avevo sempre in mente l’ennesimo obiettivo da raggiungere e, ovviamente nel cuore, la causa delle donne”.
-A proposito di donne, oggi una legge dello Stato,quella sulle quota rosa, porta il suo nome, una bella vittoria non crede?
“Senza alcun dubbio sì. La legge sulle quote di genere nei consigli di amministrazione delle società quotate e controllate è il motivo di maggiore orgoglio per tutta la mia vita. Vede, è uno dei pochissimi provvedimenti normativi d’iniziativa parlamentare degli ultimi tre anni della legislatura che mi ha visto in parlamento. Ed è un provvedimento storico perchè introduce le quote di genere nei Consigli d’amministrazione e collegi sindacali delle società quotate in borsa e delle società controllate dalle amministrazioni pubbliche. Finalmente le donne al comando, cosa che in passato pareva impossibile e soprattutto impensabile immaginare”.
-E’ felice quando la chiamano la «madre nobile» di questa legge epocale?
“Diciamo più semplicemente così: questa legge, più nota come legge 120/2011, è un riconoscimento a cui sono molto legata, perché è stata la mia ostinazione di donna a far sì che la proposta che avevo pensato e presentato non si arenasse, come tante altre, nei meandri delle commissioni parlamentari”.
-E’ vero che ha avuto molti avversari in quei giorni?
“Ho avuto contro poteri forti, come Confindustria, Ania, Abi, e tanti colleghi e colleghe che vedevano le cosiddette «quote rosa» come fumo negli occhi. Per due anni mi sono ostinata a chiamarle «quote di genere» e ho tirato dritto. Ho attraversato momenti difficili, tante volte ho pensato di mollare, credendo che gli ostacoli fossero insormontabili. Ma poi dicevo a me stessa che era una causa giusta e facevo un altro piccolo passo in avanti,con ostinazione e sotto gli sguardi increduli di tanti”.
-Però è anche vero che a ringraziarla per quella legge sono stati in tanti, e non solo in Italia?
“Le dico solo questo:a marzo del 2012 Viviane Reding, Vicepresidente della Commissione Europea, mi invitò per una conferenza stampa congiunta a Bruxelles, nel corso della quale definì la legge che avevamo appena approvato in Italia “un esempio per l’Europa”. Capisce perché ne vado fiera?”.
-Lella, lei ha incontrato il mondo intero, cosa e chi le piace ricordare di più oggi?
“Mi limito a tre Presidenti della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, Carlo Azeglio Ciampi e Giorgio Napolitano. Quanto ai presidenti del Consiglio, Mario Monti. Anche questi incontri hanno segnato una tappa importante del nostro cammino. Essere ricevute come delegazione della Fondazione al Quirinale è sempre un momento significativo e un riconoscimento del proprio operato.Ma forse il momento più commovente per me, e più indimenticabile, è stato l’incontro con Papa Giovanni Paolo Secondo. Commovente, straordinariamente commovente e indimenticabile. Davvero irripetibile”.
-Posso chiederle dove andrà in vacanza?
“Credo che farà qualche giorno in montagna in Selva di Val Gardena, e poi torno a casa, naturalmente a Bocale, il mio mare, l’odore della mia terra, la mia gente, la mia famiglia, il profumo della campagna, la bellezza dei miei tramonti, il mio mare infinito”.
(Se avete voglia di innamorarvi della storia di Lella Golfo, vi consiglio di leggere questo suo libro-confessione “Ad alta quota”, perché ne vale davvero la pena. Ma è appena uscito anche l’ultimo suo libro in cui Lella racconta il dopo, quello che è stata per lei la Fondazione Bellisario e che le è valsa prestigiosi riconoscimenti internazionali.Il resto lo travete invece sul sito ufficiale della Fondazione Bellisario, dove c’è davvero tantissima Calabria).
Lella Golfo dottore in Scienze dell’Economia
Profumi e valori tutti calabresi per un giorno nell’aula Magna dell’Università eCampus di Roma per la Laurea ad honorem conferita a Lella Golfo, fondatrice e presidente della Fondazione Marisa Bellisario, lei calabrese nel cuore nella mente e nel corpo- ripete- che ha fatto di sé e della Fondazione da lei fondata in ogni parte del mondo.
Una eccellenza tutta italiana, e soprattutto una eccellenza riconosciuta come tale in tutto il mondo.
Il rettore dell’Università eCampus, Enzo Siviero, nel presentarla agli studenti presenti a questa solenne cerimonia la racconta in questo modo: “Una personalità poliedrica e un’attività instancabile quella di Lella Golfo come deputata, giornalista, imprenditrice, da sempre impegnata in missioni umanitarie fino a ricevere prestigiosi riconoscimenti nazionali e internazionali e le onorificenze al merito di Commendatore e Cavaliere della Repubblica Italiana. Il ministero dell’Università e la Ricerca ha accolto dunque la proposta dell’Università eCampus di conferirle il prestigioso titolo di Dottore in Scienze dell’Economia”.
Questa invece è la motivazione formale e accademica del riconoscimento a questa donna che fa onore alla storia della Calabria: “Si ritiene che la signora Lella Golfo (Consolata è il suo vero nome di battesimo) sia meritevole del conferimento della Laurea Magistrale Honoris Causa in Scienze dell’Economia per i risultati raggiunti e l’impegno profuso verso la promozione di una crescita economica che elevi la realtà aziendale alla stregua di strumento di inclusione sociale volto ad includere la tutela dei diritti fondamentali nella gestione e nel management imprenditoriale, in una costante battaglia orientata alla progressiva erosione di quel trade off tipico dell’economia capitalistica tra profitto e inclusione sociale. Dalle imprese più grandi alle piccole realtà commerciali l’impegno della signora Lella Golfo si è esteso anche in ambito internazionale ove la creazione di nuove realtà economico-commerciali fondate sulla valorizzazione dei prodotti locali e sulla formazione manageriale delle donne del luogo è divenuta strumento di lotta alla discriminazione e alle pari opportunità”.
Classe 1941, Lella Golfo è nata a Reggio Calabria e vive a Roma. Giornalista pubblicista, Commendatore e Cavaliere della Repubblica, la sua vita è una storia d’impegno sociale per le donne. È ancora una ragazza quando si batte con determinazione per sostenere e difendere i diritti delle “gelsominaie” della zona Jonica e delle “raccoglitrici di olive” nella Piana di Gioia Tauro. Approdata a Roma, con un gruppo di donne, inventandosi una forma di autofinanziamento per creare iniziative ad hoc finalizzate alla promozione delle donne, nel 1982 costituisce l’Associazione culturale “Buongiorno Primavera” e inizia la sua marcia ufficiale di attivismo culturale, politico, sociale dedicato alle donne, alle loro problematiche e aspirazioni. Colpita dalla figura di Marisa Bellisario, allora Amministratore Delegato dell’Italtel e prima manager di successo che il nostro Paese ricordi, nell’89, a un anno dalla sua scomparsa, decide di dar vita a un Premio in sua memoria. Nasce così il Premio Marisa Bellisario e due anni dopo la Fondazione Marisa Bellisario. Riconosciuta ufficialmente come Ente morale nel 1996, dal 2005 la Fondazione è anche una ONG riconosciuta con decreto dal Ministero degli Affari Esteri. Dopo quasi trent’anni di impegno e lavoro – celebrati con due Mostre al Vittoriano di Roma e a Palazzo Reale a Milano – la Fondazione Marisa Bellisario rappresenta oggi un indiscutibile punto di riferimento sia per le donne che hanno già dimostrato “sul campo” le proprie capacità e competenze, sia per coloro che si affacciano nel mondo del lavoro.
Ma dietro il suo nome c’è anche una stagione politica importante. Nel 2008 entra in Parlamento nelle fila del Pdl e diviene membro della Commissione attività produttive, commercio e turismo e della Commissione parlamentare d’inchiesta sui fenomeni della contraffazione e della pirateria in campo commerciale. Si distingue per essere una delle parlamentari con il più alto tasso sia di presenza sia in Aula sia nelle commissioni. Presenta numerose proposte di legge, incentrate soprattutto sulla questione femminile, oltre a interrogazioni e ordini del giorno per la difesa della sua terra, la Calabria. Nel 2011 la proposta di legge sulle quote di genere nei CdA delle società quotate e controllate, di cui è prima firmataria, diviene Legge dello Stato, e solo per questo i paesi europei hanno provato a copiare in tutti i modi la sua filosifia di vita.
Ma c’è anche una Lella Golfo che molti paesi stranieri ci invidiano, se non altro perché l’impegno sul fronte internazionale l’ha portata a promuovere missioni all’estero, corsi di formazione e d’imprenditoria femminile in Afghanistan, Palestina, Kosovo, India, Rwanda, Cina e tanti altri luoghi nel mondo, dove Lella Golfo sa di poter dare il proprio contributo sia in aiuto dei soggetti più deboli sia per rafforzare un network al femminile.
Forse ha ragione chi la descrive “una leggenda” – ma questo lo ha spiegato bene agli studenti di eCampus la Presidente di Poste Italiane Maria Bianca Farina nel leggere la motivazione di questa laurea magistrale honoris causa– di cui sentiremo parlare ancora di più e ancora meglio negli anni che verranno. Lunga vita dottoressa Golfo.
Donne che sono vanto dell’Italia
L’elenco non è completo, ma è già abbastanza significativo delle 600 donne manager protagoniste della stoia d’Italia che Lella Golfo ha premiato nel corso di questi anni. Caterina Caselli, Diana Bracco, Patrizia Grieco, Donatella Treu, Daniela Viglione, Lorenza Lei, Fiorella Alvino, Marina Salomon, Elisabetta Lunati, Inge Feltrinelli, Gina Nieri, Rita Santarelli, Evelina Christillin, Giuseppina Fusco, Cesj Castiglion, Cristina Busi, Elena David, Daniela Carosio, Rita Marino, Catia Bastioli, Enrica Giorgetti, Maria Criscuolo, Laura Pellegrini, Costanza Esclapon, Pina Amarelli, Maria Grazia Lungarotti, Maria Concetta Patti, Graziella Vigo, Valeria Monti, Susanna Zucchelli, Elisabetta Belloni, Giorgina Gallo, Alessandra Perrazzelli, Matilde Bernabei, Alessandra Ghisleri, Giannola Nonino, Teresa Ruberto, Maria Elena Caporaletti, Paola Balducci. Tante protagoniste della moda italiana anche, Carla Fendi, Nicoletta Spagnoli, Alberta Ferretti, Carla Braccialini, Concetta Lanciaux, Beatrice Trussardi, Anna Molinari, Frida Giannini, Raffaella Curiel, Imelde Bronzieri, Laura Biagiotti, Marta Marzotto. Giornaliste come Patrizia Avoledo, Carla Vanni, Silvana Giacobini, Pia Luisa Bianco, Barbara Stefanelli, Anna La Rosa, Maria Luisa Agnese, Fiorenza Vallino, Daniela Hamaui. E poi donne delle istituzioni come Paola Severino, Anna Maria Cancellieri, Livia Pomodoro, Livia Turco, Susanna Camusso, Elisabetta Tripodi, il coraggioso sindaco di Rosarno, Alessandra Servidori, Renata Polverini, Emma Bonino, Augusta Iannini, Carla Rabitti Bedogni, Fiorella Kostoris. Sportive come Sara Simeoni, Stefania Belmondo, Elisa Casanova, Francesca Schiavone e Giulia Quintavalle. Artiste e donne di cinema come Virna Lisi, Lina Wertmüller, Cristina Comencini, Ornella Vanoni, Cinzia Pennesi, Eleonora Abbagnato. E poi donne di tutto il mondo: da Rania di Giordania a Viviane Reding, Carly Fiorina, Anita Gradin, Madeleine Albright, Josette Sheeran, Salim Wijdan Mikael, Tara Gandhi, Ségolène Royal. Ma l’elenco continua, non finisce qui.Un Premio speciale fu quello a Clementina Cantoni. “Conoscevo il lavoro di Clementina per le vedove afghane-ricorda Lella Golfo- e appena seppi del suo rapimento, quel suo appassionato impegno per le donne di Kabul, che condividevamo, mi aveva fatto alzare il telefono per star vicina ai suoi genitori e confortarli in qualche modo. Il 9 giugno 2005 tirammo un sospiro di sollievo alla notizia della sua liberazione” .